mercoledì 25 gennaio 2017

GIORNATA DELLA MEMORIA

Come ogni anno, la ricorrenza del Giorno della Memoria impone non soltanto di rapportarci con la tremenda realtà di ciò che è stato (di rendere testimonianza alle vittime, di tenere fermo il giudizio morale sui colpevoli, di onorare coloro che lottarono contro la tirannia, di elaborare, custodire e trasmettere un insegnamento per le future generazioni), ma anche con la diversa, problematica realtà dei nostri giorni (che solleva molteplici domande sulla Memoria, sulla sua utilità, i suoi aspetti controversi, i sempre incombenti rischi di banalizzazione, ritualizzazione, svuotamento e inquinamento di significato).  La Memoria del passato va utilizzata come misura etica per il presente? O, così facendo, la si strumentalizza? E, se si vuole ricordare il passato per difendere chi è colpito o minacciato oggi, quali devono essere i soggetti colpiti o in pericolo a cui, specificamente, rivolgere la nostra attenzione? Ma, se si sceglie diversamente, è lecito commemorare le vittime di ieri mostrandosi indifferenti alle sorti di quelle di oggi, o di domani?
Ci sono state due figure, di cui ricorre in questi giorni l'anniversario della morte, che pur nella loro differenza, vanno ricordate in questa giornata per la loro forza comunicativa ed etica: PRIMO LEVI ed ELIE WIESEL.
Primo Levi, uomo di scienza e razionalità, ebreo decisamente assimilato, con uno scarso senso della propria ebraicità (almeno fino all’esperienza dell’internamento) e una debole percezione del fenomeno dell’antisemitismo (al di là di quello nazifascista), ha cercato di interpretare l’accaduto come una sorta di inspiegabile oscuramento della ragione umana, le cui cause la stessa ragione avrebbe chiesto, invano, di poter comprendere. Ma, come egli stesso disse, comprendere è impossibile, e le modalità della sua morte, al di là degli scritti e dei libri lasciati, rappresentano la più eloquente testimonianza di quello che gli dovette apparire come una morte della parola, un fallimento della testimonianza. 
Wiesel, invece, uomo di fede, fortemente legato alla propria identità ebraica, cresciuto in una famiglia di salda religiosità, ben memore delle antiche, infinite sofferenze patite dal suo popolo, colloca “ebraicamente” il problema del senso e della inintellegibilità di Auschwitz all’interno dell’antica domanda di Giobbe, di quel “silenzio di Dio” che, già manifestatosi, tante volte, in passato, è parso ripresentarsi, il secolo scorso, nel più assoluto e definitivo dei modi.
Un'idea, un'esperienza, una rilettura storica differenziata l'uno rispetto all'altro, come se la Shoah fosse un discorso sempre aperto, che cambia di significato da uomo a uomo, di giorno in giorno. Ed è proprio questo il motivo che impone una istituzionalizzazione della Giornata della Memoria, perché in essa il mondo scopre la propria disponibilità all'ascolto e alla comprensione.

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