Porsi domande
di Piero Stefani
in “Il pensiero della settimana” del 10 luglio 2016
Se ci si identificasse totalmente con quanto si sta vivendo non si solleverebbero interrogativi. Tra le
tante definizioni proposte per l’essere umano chiamarlo «il vivente che pone e si pone domande»
va, forse, annoverata tra le più calzanti. Ciò comporta di per sé una qualche dislocazione di noi
stessi rispetto al nostro vivere. Formulare interrogativi è un’alterità interna.
È consueto ripetere che le domande sono più importanti delle risposte. È vero a patto di conservare
lo status di penuria connesso a una mancata risposta e a condizione di porre sempre domande
inedite. Per continuare a ricercare occorre scoprire nuovi interrogativi. Inventare nuove domande è
una forma di intelligenza, ripeterle è uno stanco ripiegamento, compreso il caso in cui si pensa di
toccare l’abisso («perché l’essere e non il nulla?»).
Avere un’idea innovativa è sempre una gran cosa. Per lo più essa nasce dall’aver posto una
domanda inusuale e pertinente. Poi si evidenzieranno i lati mancanti della risposta, si dirà che non si
è tenuto conto di questo e di quest’altro, si dimostrerà che l’idea è addirittura campata in aria;
tuttavia essa ha guidato il discorso, a volte anche per decenni, se non addirittura per secoli.
È vero: le domande per certi aspetti prevalgono sempre sulle risposte; infatti anche quando queste
ultime calcano a passo sicuro la scena (ipotesi invero non frequente), resta inscritto nell’ordine delle
cose che a dettare il cammino sono sempre le prime. Tuttavia è un vezzo (spesso ipocrita)
affermare, a priori, che le domande valgono di per sé più delle risposte. In realtà una domanda
autentica va alla ricerca della risposta non meno di quanto l’assetato faccia con l’acqua e l’affamato
con il cibo.
Una componente mai espungibile rispetto alla domanda del perché si soffre è che ciò avviene
semplicemente perché si vive. Quando si ignora la prosaicità di questa base si veleggia verso mari
infidi.
domenica 10 luglio 2016
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