«C’è una personalità assai determinata nel sollevare certe questioni, ed è papa Francesco. Che lo fa,
peraltro, senza pretendere di avere la bacchetta magica ma, al contrario, invitando a fare sforzi
giusti ma che potrebbero anche fallire. C’è un passo del discorso che tenne il 6 maggio 2016, al
conferimento del Premio Carlomagno, che andrebbe imparato a memoria: “Se c’è una parola che
dobbiamo ripetere fino a stancarci è questa: dialogo. Siamo invitati a promuovere una cultura del
dialogo cercando con ogni mezzo di aprire istanze affinché questo sia possibile e ci permetta di
ricostruire il tessuto sociale. La cultura del dialogo implica un autentico apprendistato, un’ascesi
che ci aiuti a riconoscere l’altro come un interlocutore valido; che ci permetta di guardare lo
straniero, il migrante, l’appartenente a un’altra cultura come un soggetto da ascoltare, considerato e
apprezzato. È urgente per noi oggi coinvolgere tutti gli attori sociali nel promuovere una cultura che
privilegi il dialogo come forma di incontro, portando avanti la ricerca di consenso e di accordi,
senza però separarla dalla preoccupazione per una società giusta, capace di memoria e senza
esclusioni. (Evangelii gaudium, 239). La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri
figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione”.
Papa Francesco vuole sottrarre le sorti della pacifica convivenza ai politici di professione e al reame
oscuro della politica per portarle nelle strade, tra i negozi e gli uffici, negli spazi pubblici dove noi
tutti ci incontriamo. Vuole affidare le speranze del genere umano non ai generali dello “scontro di
civiltà” ma a noi soldati semplici della vita quotidiana. Perché questo accada, però, devono
realizzarsi anche altre condizioni e il Papa ce le ricorda: “La giusta distribuzione dei frutti della
terra e del lavoro umano non è mera filantropia. È un dovere morale. Se vogliamo pensare le nostre
società in un modo diverso, abbiamo bisogno di creare posti di lavoro dignitoso e ben remunerato,
specialmente per i nostri giovani. Ciò richiede la ricerca di nuovi modelli economici più inclusivi ed
equi, non orientati al servizio di pochi, ma al beneficio della gente e della società. E questo ci
chiede il passaggio da un’economia liquida a un’economia sociale”. Ho una sola parola da
aggiungere: amen».
Estratto da un'intervista a Zygmunt Bauman.
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