martedì 5 luglio 2016

ELIE WIESEL : INCLUSIONE E IDENTITÀ

«Ricordare è un investimento sul futuro e non solo un tributo alla memoria delle vittime di un
tragico passato. Non possiamo, non dobbiamo dimenticare ciò che accadde nei lager nazisti. E che
al fondo dell'Olocausto vi era il proposito di annientare gli ebrei, colpevoli di esistere: chi continua
a negarlo infligge alle vittime dei campi di sterminio una seconda morte. Come non vedere che nel
voluto oblio della memoria c'è chi cerca di costruire una nuova pratica dell'intolleranza. L'antisemitismo e l'odio razziale segnano anche questo inizio secolo. Non posso perdonare gli aguzzini e coloro che ne esaltano le gesta. Stiamo lasciando alle nuove generazioni un mondo pieno di paura: cosa ne faremo, lo trasformeremo in una fortezza?...
È stato il Male assoluto. Ecco cosa è stato. Ciò che ha caratterizzato quel periodo fu una
determinazione assoluta nel pianificare e condurre a compimento l'annientamento di un popolo.
Questo è stato l'Olocausto, in questo consiste la sua novità rispetto al passato: per la prima volta
nella storia, si intendeva eliminare completamente dalla faccia della terra un popolo. Gli ebrei non
furono perseguitati e sterminati per motivi specifici, perché credevano o non credevano in Dio,
perché erano ricchi o poveri, o perché professavano ideologie nemiche: no, gli ebrei venivano
uccisi, umiliati, torturati per il semplice fatto di essere tali. Perché erano colpevoli di esistere:
questo è l'orrore incancellabile della Shoah...
Ricordo che nei lager nazisti morirono migliaia e migliaia di rom. Morirono assieme a milioni di ebrei. Non intendo entrare in polemiche politiche, ciò che voglio dire è che l'Europa ha un debito verso la popolazione rom. Questa consapevolezza dovrebbe guidare la definizione di politiche di integrazione, il che naturalmente non significa giustificare comportamenti malavitosi che riguardano la persona, il singolo individuo e non l'etnia di appartenenza. La multietnicità propria delle società moderne non va vissuta come un pericolo bensì come un valore, una opportunità comune di crescita, ma perché questa aspirazione si trasformi in realtà compiuta è necessario far vivere una cultura della solidarietà che è qualcosa di più ricco e impegnativo di una cultura della tolleranza. Sento parlare di classi separate per bambini immigrati, di sbarramenti..., ma una società multietnica pienamente democratica, deve abbattere i ghetti e non realizzarne di nuovi. L'inclusione non è nemica di un comprensibile bisogno di sicurezza...
Parole come perdono o misericordia non trovano posto nell'inferno di Auschwitz, di Buchenwald, di Dachau, di Treblinka.... No, non è possibile perdonare gli aguzzini di un tempo e coloro che ancora oggi ne esaltano le gesta. Ho pregato più volte Dio e la preghiera è la stessa che recitavo quando ero rinchiuso nel lager: "Dio di misericordia, non avere misericordia per gli assassini di bambini ebrei, non avere misericordia per coloro che hanno creato Auschwitz, e Buchenwald, e Dachau, e Treblinka, e Bergen-Belsen... Non perdonare coloro che qui hanno assassinato”. Ma questo non vuol dire condannare per sempre il popolo tedesco, perché noi ebrei, le vittime, non crediamo nella colpa collettiva. Solo il colpevole è colpevole. I nostri aguzzini volevano cancellare la nostra identità, prima di negarci la vita, per ridurci solo a numeri, quelli marchiati a fuoco sulle nostre braccia. Ma non ci sono riusciti: hanno ucciso sei milioni di ebrei ma non sono riusciti a cancellare la nostra identità».
Intervista rilasciata in esclusiva a l’Unità il 28 gennaio 2008

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