Da «Finestra aperta», del pastore Massimo Aprile, in onda domenica 28 febbraio durante il «Culto evangelico», su Radiouno.
Sui giornali di qualche giorno fa si parlava del dottor Carlo Gandolfo, chirurgo pediatrico dell’ospedale Gaslini di Genova, conosciuto per la sua bravura a praticare un intervento al cervello che presenta altissimi rischi. Con la sua professionalità e dedizione il dottore ha salvato la vita di molti bambini in Italia e più di una volta è stato invitato a praticare questo delicatissimo intervento anche a Oslo.
Questi italiani esistono e in tutte le professioni. Persone capaci, apprezzate e riconosciute spesso più all’estero che qui da noi, con un forte senso etico del proprio lavoro.
Il fatto evidenzia anche che vi sono in atto collaborazioni importanti che ci avvicinano a paesi europei anche quando non appartengono all’Unione europea. Inoltre è bello pensare alla scienza posta, come in questo caso, al servizio della persona e, in particolare, dei bambini.
Per contrasto, nello stesso quotidiano, vengono riportate le parole dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi, anch’egli un italiano, che a proposito dei naufragi nel mare Egeo ha dichiarato: «Nell’emergenza rifugiati l’Europa sta perdendo se stessa. I bambini morti nel Mare Egeo sono uno scandalo che chiama in causa la mancanza di solidarietà di un continente intero, in cui crescono barriere ed egoismi».
A rincarare la dose ci sono i dati del Dossier della Caritas di Roma che ci ricorda che l’anno scorso sono arrivati in Italia più di 15.000 minori stranieri non accompagnati e che di 5.588 di questi non si sa più nulla. Il fondato timore è che molti di loro possano essere caduti vittime della tratta dello sfruttamento sessuale, del lavoro nero, o possano essere stati arruolati nella piccola delinquenza e nello spaccio di droga.
Nel filo invisibile che unisce le due notizie, c'è la speranza di un’Europa che riesca a uscire da una crisi acuta che è spirituale ancor prima che economica destinando le sue risorse per proteggere la vita a cominciare da quella dei bambini, senza fare alcuna differenza tra loro. Perché, agli occhi di Dio, la vita di un bambino norvegese vale quanto quella di un bambino proveniente dalla Siria o dall’Eritrea.
Questo nostro continente a volte appare come quell’uomo della parabola, raccontata da Gesù, il cui raccolto andò bene e che, anziché pensare a come avrebbe potuto condividerlo nella gioia a partire dalle persone a lui più vicine, rimase prigioniero della sua solitudine triste ed egocentrica. «Egli ragionava così fra sé: “Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?”» e disse: «Questo farò, demolirò i miei granai, ne costruirò altri più grandi, vi raccoglierò tutti i miei beni e dirò all’anima mia: “Anima, tu hai molti beni ammassati per molti anni; riposati, mangia, bevi, divertiti”» (Luca 12, 13 ss).
La risposta di Dio, come sappiamo, evidenziò l’insensatezza di quell’uomo. La vita è molto di più di quel che siamo capaci di guadagnare e accumulare. Dal servizio agli altri, dei più piccoli, trarremo reali motivi di speranza anche per la nostra vita.
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