mercoledì 28 ottobre 2015

SODDISFAZIONE E RAMMARICO di Renè Poujol

Trovo, nel Sinodo, tre motivi essenziali di soddisfazione.

  • È buona cosa che, sulla questione dei divorziati risposati, papa Francesco abbia ottenuto il sostegno della maggioranza dei padri sinodali. Questa evoluzione era non solo pastoralmente necessaria, ma teologicamente possibile. Non porta affatto ad una rimessa in discussione dell'indissolubilità del matrimonio, ma alla reintegrazione, caso per caso, dopo discernimento, di alcune persone, nella vita sacramentale. 
  • È buona cosa che, rompendo con un approccio esclusivamente giuridico il Sinodo si sia impegnato nella via dell'ascolto, dell'accoglienza, della misericordia, permettendo a papa Francesco di dichiarare nel suo discorso di chiusura: “L’esperienza del Sinodo ci ha fatto anche capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono”
  • È buona cosa, infine, che, nonostante le reticenze, i padri sinodali abbiano potuto fare l'esperienza di un vero dibattito nella Chiesa, con un linguaggio aperto e comprensibile, aprendo – speriamo – un ampliamento durevole della collegialità nel governo della Chiesa. Perché è vero che l'istituzione sinodale era stata auspicata dal Vaticano II, ma la sua attuazione, affrettata, da parte di Paolo VI, l'ha a lungo relegata a non essere che un luogo di consultazione puramente formale. 

Dietro a questi motivi di soddisfazione si nascondono, per me, altrettanti motivi di rammarico.

  • Rammarico, perché, sulla questione della contraccezione, il Sinodo non si sia sentito autorizzato a riconoscere alle coppie la libertà della scelta dei metodi con i quali “gestiscono la fecondità”, come la Chiesa ne riconosce loro il diritto. Di fronte a un mondo che deresponsabilizza, la Chiesa non ci guadagnerebbe a fare la scommessa della fiducia, più che ricordare un improbabile divieto della Legge naturale?
  • Rammarico perché, sulla questione omosessuale, il Sinodo – come era prevedibile – ha scelto di nascondersi dietro un dito,e ha solo sfiorato il tema appena accennando alle famiglie che si devono confrontare con questa realtà, fingendo così di ignorare che gli omosessuali, uomini e donne, sono ben presenti nelle nostre comunità. Sappiamo che la questione è difficile e che l'opinione pubblica è poco aperta,come testimoniano recenti irrigidimenti.
  • Rammarico perché questo stesso Sinodo che pure invita ad una forma di diaconia rafforzata a servizio delle famiglie e dell'accompagnamento delle giovani coppie, non ha nemmeno osato porre la questione, pure evocata nell'assemblea, di una possibile apertura al diaconato femminile. Chi, meglio delle donne, è in grado di concretizzare nella vita della nostra Chiesa, questo appello del Sinodo a farsi prossimo alle realtà familiari? Che cosa si oppone teologicamente a reintrodurre nella Chiesa ciò che la sua storia attesta essere già esistito in passato? 
Molto quindi è stato fatto, e ne ringraziamo i padri sinodali, anche se l'essenziale resta ancora da affrontare. Perché se la posta in gioco per la Chiesa è quella di mostrarsi “agli uomini e alle donne di questo tempo”, e non solo ai cattolici, come portatrice di una buona notizia che dia senso a ciò che sperimentano nella loro vita, occorrerà pure colmare un po' il fossato che continua ad allargarsi tra l'una e l'altra. E continuare ad approfondire la comprensione che abbiamo delle Scritture e della nostra Tradizione. Senza rifugiarci dietro la falsa accusa di una resa allo spirito del tempo.

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