giovedì 1 ottobre 2015

SI PARTE : BUON LAVORO, CATECHISTI!

Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà». Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni.Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro:«Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».(Marco 9,30-37)

La liturgia di qualche domenica fa ha proposto questo testo evangelico che presenta come criterio per accedere al Regno di Dio la figura del bambino posta da Gesù come modello. Questa figura non è un invito a concludere che il cristianesimo sia una religione infantile, ma è stato motivo per riflettere su una certa prassi che avviene in quasi tutte le parrocchie, a cominciare con il mese di ottobre, che è quella dell’inizio del catechismo per i ragazzi.
E’ una prassi che si modella sullo schema della scuola: quando le lezioni scolastiche finiscono, finisce anche il catechismo, con buona pace e sospiri di sollievo di coloro che si sono impegnati con generosità a svolgere il ruolo di catechisti.
Tale modalità è strutturata non sempre per formare, ma in funzione della 1^ comunione e della cresima: una volta ricevuta la 1^ comunione (e per molti è forse anche l’ultima), una volta ricevuta la cresima, sacramento dell’impegno nella testimonianza (ma per molti sacramento dell’abbandono non solo della pratica religiosa, ma della fede), si diventa “adulti” nel senso che finisce la formazione. La catechesi diventa così un’esperienza “da bottega”, da bambini e per bambini.
Ma il catechismo, invece di essere preparazione ad alcuni sacramenti, non dovrebbe essere aiuto ad entrare nella Scrittura affinché la Parola di Dio accompagni la nostra vita quotidianamente? Se è soltanto preparazione per la 1^ comunione e per la cresima finisce per essere una scadente verniciatura del messaggio cristiano. Non si tratta di inculcare nella mentalità e nella coscienza dei ragazzi esclusivamente cose da “sapere”, ma valori da “vivere” per tutta la vita.
Viene da pensare, allora, che le esperienze catechistiche siano comunicazioni di poco o nulla, se poi comportano abbandoni, indifferenza, religiosità di facciata, reazioni di paura e di razzismo. E così capita che si inneggia ai “valori cristiani” e alla “identità nazionale cattolica”, ma poi si è fuori dalla fede, fuori dalla storia in quanto ci accontentiamo di una religione a cui apparteniamo per nascita e non per scelta, una religione fondata su chiusura ed egoismo, fatta di esteriorità e di comportamenti lontani dai valori evangelici. E allora diventa urgente un ritorno all’essenzialità, alla semplicità di vita che aiuti a scoprire Dio e la sua paternità, con l’aiuto della sua Parola.
Ecco allora l’immagine del bambino richiamata nel brano evangelico citato all’inizio: il bambino che non ha preconcetti, che si abbandona nelle braccia dei suoi genitori. “Essere come bambini” non è uno slogan, ma significa vivere la semplicità delle relazioni, la disponibilità dell’incontrare gli altri, l’apertura per tutto ciò che è nuovo, la libertà da pregiudizi e prevenzioni, vivere e saper vivere con gli altri.
Le esperienze catechistiche, così come sono vissute, quali messaggi introducono nelle coscienze dei ragazzi? Se tutto viene finalizzato alla 1^ comunione e alla cresima, scadenze quasi obbligate nella mentalità di molti genitori la cui maturazione nella fede è rimasta ferma agli anni della loro esperienza catechistica, come potrà essere coinvolta dalla Parola di Dio la vita dei piccoli che frequentano il catechismo? Che esempi di fede vissuta troveranno attorno a loro? Quanto sono presenti le condizioni per far parte del Regno di Dio nel mondo degli adulti (genitori, sacerdoti, realtà parrocchiali, oratori…): bisogna farsi servitori di tutti e mettersi dalla parte dei disprezzati per contestare il potere che fa sempre gli interessi dei forti?
Tonino Bello nel 1992 scriveva ai catechisti della sua diocesi, prendendo lo spunto da una canzone di Gino Paoli, queste parole: “So, però, che il ‘cielo in una stanza’ deve divenire la sigla morale di ogni uomo di buona volontà che si batte per la pace, che non vuole farsi catturare dall’effimero, che teme di lasciarsi imprigionare dai problemi di campanile, e che intende fuggire la seduzione, tutta moderna, del ‘piccolo è bello’ (…) Se è così ti offro un’ultima suggestione: aprirsi alla mondialità significa educarsi alla convivialità delle differenze”.Crescere nella fede, attraverso l’esperienza catechistica lunga quanto una vita, dovrebbe avere questo traguardo che è poi quello di Dio.

AGOSTINO

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