venerdì 5 agosto 2016

Uomini che odiano le donne. 
E che, sempre più spesso, diventano assassini. È successo già 76 volte nel corso del 2016. Un vero e proprio bollettino di guerra che ha insanguinato l’ultimo decennio: 1.740 femminicidi secondo l’Eures. Una macabra contabilità della morte inferta, in molti casi, da un familiare o da un uomo con cui la vittima ha avuto una relazione. Come tragico atto conclusivo di un’inarrestabile escalation di violenza. Spinta fino alle più estreme conseguenze.
I dati dell’Istat, aggiornati a giugno 2015, parlano chiaro: 6 milioni 788 mila, ossia il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni (quasi una su tre), hanno subito nel corso della propria vita una violenza fisica (il 20,2%) o sessuale (il 21%). Nel 5,4% dei casi veri e propri stupri (652 mila donne) o tentati stupri (746 mila), il 62,7% dei quali commesso da un partner attuale o precedente. Ma non è tutto. Il 10,6% delle donne ha subìto violenze sessuali prima dei 16 anni. Mentre aumentano, in modo preoccupante, i bambini costretti loro malgrado ad assistere ad episodi di violenza sulla propria madre (dal 60,3% del 2006 al 65,2% del 2014). Sono loro le «vittime secondarie» dei femminicidi, scatenati nel 40,9% dei casi da un movente passionale: negli ultimi 15 anni, stando ai dati Eures, sono 1.628 i figli rimasti orfani spesso per mano dei loro stessi padri.
Significativi a questo proposito gli interventi dei due presidenti delle Camere.
«Le leggi ci sono e i centri antiviolenza devono tornare ad avere al più presto i finanziamenti necessari - scrive Laura Boldrini -. Ma intanto, mentre la strage prosegue, è importante rilanciare l’appello alle donne, perché denuncino senza esitazioni, senza una malriposta pietà, i loro compagni o ex compagni violenti: cambiarli è impossibile, bisogna fermarli per tempo».
E Piero Grasso su Facebook. «Da uomo fatico a spiegarmi cosa possa spingere ad usare una tale brutalità, a covare così tanto odio nascondendosi dietro presunti sentimenti quali l’amore o la disperazione. Niente di tutto questo: spero che non usino più, raccontando queste storie,
termini ambigui e giustificatori come raptus, gelosia, disagio, rifiuto. Sono solo squallidi criminali e schifosi assassini. C’è un grande lavoro da fare per sradicare i resti di una cultura maschilista e possessiva che ancora permea la nostra società. Stare insieme è una sfida quotidiana. Uomini e
donne non si appartengono, si scelgono ogni giorno. Liberamente».

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