venerdì 19 agosto 2016

Intervista a Aharon Appelfeld

<<Ho visto il male in tutte le sue forme. Il male è un’ombra scura, se ne sta sempre acquattato ma in tempi di rabbia e odio tende a gonfiarsi e a penetrare nelle nostre esistenze. Come possiamo fronteggiarlo? Tutto quel che possiamo fare è combatterlo, coltivare la speranza e accrescere la nostra luce...
Basta pensare all'Olocausto, alla guerra, il mondo è pieno di demoni. Spiegare le cose è una modalità molto debole. Non si dovrebbe spiegare se stessi, bisognerebbe mostrare. Se lei parla del male, lo mostri! Lo mostri, non lo spieghi!...
Le istituzioni religiose possono essere oscure e staccate dalla realtà, mentre la religiosità è intimamente connessa agli individui...
La religiosità è qualcosa che ciascuno di noi ha dentro di sé. Riveste un ruolo nell'individuo, consentendogli di connettersi con coloro che ama. Permette di elevarsi. L’uso che le grandi chiese di ogni fede fanno della religione è il vero pericolo. Esse dimenticano il vero scopo della religione, che  è quello di elevare le persone...
La religiosità come la letteratura non può risolvere i grandi problemi ma almeno possono renderci consapevoli dei danni che arrecano. Ci mette in contatto con il bene, con ciò che è delicato, come ogni arte. Quando ci sediamo ad ascoltare Bach in qualche modo cambiamo, diventiamo persone differenti. La domanda è: che cosa possiamo fare? Come possiamo andare avanti? Dovremmo rinunciare? La risposta si trova nella comunità, che è responsabile per se stessa, per i suoi vecchi e per i suoi figli...>>
(Aharon Appelfeld vive in Israele dalla fine degli anni Quaranta, ma sottolinea sempre le sue origini
rumene. La sua famiglia, da sempre messa all’indice perché di origine ebraiche, viveva in una
regione, la Bucovina, fino a quando fu deportata nei lager nazisti, dove quasi tutti i componenti
furono assassinati. Lui, invece, è riuscito a evadere da un campo di sterminio. Per molto tempo ha
vissuto come fuggiasco nei boschi, fino al momento in cui si è unito all’Armata Rossa. Con quella
divisa ha combattuto i nazisti, ma poi a guerra finita ha deciso di andare in Palestina, ancora sotto
protettorato britannico. Lì, in un kibbutz, ha studiato e cominciato a scrivere in ebraico, una lingua
che ha subito amato al punto da diventare uno dei più importanti scrittori di lingua ebraica.
Nei suoi romanzi  i temi della Shoah e del «male radicale» tornano spesso, seppur filtrati dal pensiero di Martin Buber e Gershom Scholem, intellettuali che Appelfeld considera veri e propri maestri. Recentemente lo scrittore ha ricevuto in Italia il premio Hemingway.)


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