sabato 9 dicembre 2017

Non è ancora giunta l'ora del biotestamento?

Vi ricordate della povera Luana Englaro? Sono passati 8 anni. Un caso ormai archiviato. Un dramma che ha arroventato la scena politica italiana, spaccando l'Italia in due: da una parte chi sosteneva che si trattasse dell'assassinio di una giovane donna in grado, per alcuni, addirittura di partorire, e dall'altra coloro che invocavano la libera scelta della morte dolce o dell'eutanasia.
Ci fu anche qualcuno che, inascoltato e dotato di buon senso, sosteneva che per non scivolare né
nell'eutanasia né nell'accanimento terapeutico non si dovesse stabilire una regola generale e astratta buona per ogni situazione ma che per affrontare quella zona grigia che attende tutti alla fine della vita bisognasse valutare caso per caso: bisognava cioè pensare non una legge rigida e prescrittiva ma un'indicazione del paziente, e del suo fiduciario che il medico avrebbe verificato naturalmente alla luce della sua relazione con il paziente.
Da ieri ad oggi i casi di "accompagnamento alla morte" si sono ripetuti e hanno continuamente solleticato e pressato la politica e la riflessione etico-morale degli italiani.
Ora sembra che finalmente stia per essere approvata una legge, equilibrata e saggia, che fa fronte alla crescente invasività delle tecniche che aumentano il rischio di accanimento e, insieme, tutela il medico che dovrà scegliere in scienza e sapienza.
È tempo ora, finalmente, di stabilire diritti e confini sul fine vita. Bisogna legiferare, evitando quella
contrapposizione ideologica, quel bipolarismo etico del passato, così paralizzante.
Dobbiamo valorizzare gli elementi buoni del dibattito che nel corso di così tanti anni si si è svolto.
Chiara è la difficoltà a legiferare su una materia nella quale il malato può cambiare idea, fino all'ultimo momento. Ma è per questo motivo che occorre valorizzare il triangolo medico-paziente-famiglia ricreando una fiducia che spesso è venuta meno, o una sorta di Commissione nei casi estremi, e poi la mediazione del tutore, della famiglia.
Sull'altro versante bisognerà perfezionare le tecniche per togliere il dolore, che vanno estese e rese più fruibili. Così come il ricorso alla sedazione profonda. Ma la base di tutto resta la relazione medico-paziente che va umanizzata, non burocratizzata o resa diffidente da paure legali.
Detto questo, la legge non risolve tutto. Questo però non deve diventare un alibi per non legiferare, ma serve la consapevolezza che farlo in modo astratto non sempre aiuta. L'esperienza di altri Paesi ci dice che occorre ascoltare la specificità dei singoli casi, là dove l'universalità della condizione umana del morire, diventa irriducibile peculiarità di ogni persona, e dei suoi affetti.

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