Professor Franco Garelli, dove scompare la figura tradizionale del parroco guida unica della
chiesa locale, quali cambiamenti avvengono?
«Passare da un unico responsabile, un unico pastore, figura di riferimento anche dal punto di vista
sociale, a una gestione collegiale di più preti occupati in più parrocchie, oppure a un unico parroco
condiviso con altre parrocchie, può portare disorientamento nei fedeli, soprattutto i più anziani. Di
sicuro è una novità che interpella la fede, perché la rende meno comoda. Ma il laicato è chiamato ad
abituarsi e anche a valorizzare queste dinamiche nuove».
E il parroco? Quanto gli si complica la vita?
«I parroci di più comunità spesso non hanno il coraggio di chiedere di costituire un’unica realtà
parrocchiale, con una chiesa “centrale” e le altre “satelliti”. Allora fanno “salti mortali” per
celebrare messa in tutto il territorio: questo crea problemi grossi. Diventano preti pendolari,
rischiando di disperdersi, di vivere a spicchi».
Stiamo assistendo a un declino della Chiesa in Italia?
«No. Queste situazioni possono anche essere un arricchimento, già solo per il fatto che non ci si
abitua troppo al parroco. Ci si può confrontare con le sensibilità diverse dei vari sacerdoti che
ruotano. C’è sicuramente chi fa fatica ad abbandonare il vecchio modello, ma la possibilità del
confronto tra realtà diverse vicine territorialmente, spesso della stessa città ma fino a poco tempo
prima separate da steccati campanilistici, può essere stimolante per tutti. Si può sperimentare la
bellezza di avere progetti comuni».
Quindi nessun dramma?
«Chi vuole la messa sotto casa vive con inquietudine le unità o le comunità pastorali tra più
parrocchie. Ma la religiosità è anche vita comunitaria aperta, e se c’è dinamismo tra realtà diverse
tutto può diventare più incoraggiante. Se si riesce a creare aggregazione tra le parrocchie della zona
si evita di rendere viziata l’aria della propria comunità a causa della chiusura, e vivere così momenti
– spirituali e di festa – nuovi e piacevoli».
La gestione delle parrocchie affidata ai laici è una via percorribile?
«Sì. Bisogna dare loro più spazio soprattutto per i ruoli organizzativi, amministrativi ed educativi. Il
parroco deve imparare a delegare, mantenendo funzioni più di coordinamento e di garante,
focalizzandosi sull’aspetto spirituale; dovrebbe essere attorniato da laici responsabili nei vari campi.
Senza dimenticare l’associazionismo ecclesiale, un bacino da cui si può sempre attingere.
Ovviamente c’è il pericolo di una mancanza di sintonia tra laici e parroco, o quello delle fazioni tra
laici, ma sono rischi da correre».
La Chiesa dovrebbe prendere altre iniziative?
«L’invecchiamento del clero italiano dovrebbe portare a ristrutturazioni a livello delle diocesi. Per
esempio trasferimenti: c’è molto più clero al Sud che al Nord. Oppure andrebbe sfoltito l’elevato
numero di preti impegnati in apparati amministrativi delle diocesi: accorpandole si eviterebbe la
moltiplicazione degli uffici e così si libererebbero risorse sacerdotali».
Intervista a Franco Garelli, di Domenico Agasso jr., in “La Stampa” del 25 novembre 2017
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