martedì 21 novembre 2017

"Così lasciai detto di staccarmi la spina"

Padre Alberto Maggi, sacerdote e teologo, fine biblista, frate dell'Ordine dei Servi di Maria, ha raccolto in un libro - "Chi non muore si rivede. Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita" - la sua esperienza a "un passo dalla morte".
 
Non aveva paura di farla finita?
"Assolutamente no. Dissi ai medici. Non preoccupatevi. Se muoio durante l'operazione è solo la mia parte biologica a deperire. La mia anima, invece, continuerà a vivere per sempre. Diedi disposizione anche per il funerale: dopo la Messa in convento nessuno avrebbe dovuto seguire la salma al cimitero. Il mio corpo piuttosto doveva essere consegnato alle pompe funebri mentre tutti i presenti sarebbero dovuti restare in convento a festeggiare non il povero Alberto, ma il "beato" Alberto. Ricordavo a tutti l'Apocalisse, il testo di Giovanni per il quale la morte è una beatitudine".
 
La vita non è sacra?
"Questo è il punto: è sacra la vita o l'uomo? Se è sacra la vita si deve difendere a oltranza anche quando diviene accanimento; se, invece, è sacro l'uomo gli si deve riconoscere la sua dignità e in alcuni casi lo si può anche aiutare ad andarsene serenamente".
 
Eppure, a volte, anche chi firma per farla finita, o dichiara pubblicamente le sue intenzioni in questo senso, poi si pente.
"È vero. Infatti il paziente va sempre ascoltato perché non tutti quando si trovano a un passo dalla morte sono pronti ad andarsene. Non vedono la morte come un nuovo inizio, ma come una fine e hanno paura, vogliono restare. E anche questo loro sentire va rispettato. Ho in mente casi diversi. Ricordo in particolare un amico medico che ha avuto la Sla. Si trovava in coma. Sembrava non avesse possibilità di svegliarsi. O lo si lasciava morire sotto sedazione o gli si applicava una tracheostomia per permettergli di respirare. I familiari mi chiesero un parere. Dissi loro che senz'altro non avrebbe voluto la tracheostomia. Invece, incredibilmente, si svegliò e fu lui a chiederla ai medici. Andò avanti tra atroci sofferenze, una gamba amputata, una sacca per l'alimentazione. Lì capii che nulla è scontato su questo terreno e che il paziente va sempre ascoltato".
 
Ricorda altri casi?
"Un caso diverso fu quello di Max Fanelli, anch'egli colpito da Sla. Andai a trovarlo. Gli funzionava solamente un occhio col quale usava una macchinario per comunicare. L'occhio era appena incorso in un'infiammazione: "Tra poco non potrò più comunicare. Il mio corpo diverrà un sarcofago", mi disse. Una cosa da impazzire. Si batté fino alla fine per una legge che non continuasse, per chi si trova in condizioni estreme, cure inutili".
 
Le parole di Francesco di oggi cosa dicono?
"Dicono della sua passione per l'umanità. Il Papa alla dottrina preferisce l'uomo. Non vuole portare gli uomini verso Dio, sennò ci sarebbe bisogno di leggi, di norme, quanto portare Dio verso gli uomini. E vuole farlo, appunto, non con una dottrina ma con una carezza, un linguaggio insomma che tutti possono capire. Una carezza la comprendono tutti, anche i cosiddetti lontani. Gesù è stato la tenerezza di Dio per i bastonati dell'umanità. Sapeva bene che anche coloro che erano abbandonati andavano accarezzati e in questo modo dava loro la possibilità di rinascere".

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