La credenza in un Dio unico è la fonte lontana dell'attuale ritorno del fanatismo? Mentre ancora
nel 2015 si continua ad uccidere in nome della religione, riflettiamo sulle relazioni tra il
monoteismo e l'intolleranza.
Gli dei sembravano essersi ritirati dal nostro Occidente disincantato. Le divinità sembravano essersi
saggiamente eclissate dal nostro pianeta mondializzato. Ma ecco che nel 2015 l'assassinio di massa
in nome di Dio arriva a colpire al cuore dell'Europa. Gli attentati di gennaio e poi le stragi del 13
novembre proprio a Parigi, lo scatenarsi spettacolare degli scontri sanguinosi nel Medio Oriente
hanno messo di nuovo al centro dell'attualità il problema del legame tra terrore e credenza. “Ogni
religione è basata su un capro espiatorio”, scriveva il filosofo René Girard che aveva posto il problema della violenza e del sacro al centro del suo
pensiero.
Le grandi religioni monoteiste, quelle che aderiscono ad un Dio unico e universale, si trovano ormai
sul banco degli accusati. Al di là delle configurazioni storiche e politiche del momento, non si
potrebbe pensare che l'idea stessa di una potenza superiore sia all'origine delle atrocità che
segnano spesso la storia della fede? Conquista di Canaan da parte di Giosuè guidato dal “Dio degli
eserciti”, crociate ed inquisizioni, jihad e terrorismo sono malattie genetiche delle confessioni
rivelate oppure devianze rispetto ad una dottrina monoteista che sarebbe al suo interno pacifica e
disarmata?
Per riflettere su questi problemi proviamo per una volta a rivolgerci non a rappresentanti ufficiali delle religioni, ma ad esperti, a critici letterari, ad
etnologi e a sociologi che scrutano i testi, in particolare i testi sacri, perché ci dicano che cosa è
fautore di violenza nel monoteismo.
È la distinzione tra vera e falsa religione che Mosè stabilisce nel Pentateuco sul monte Sinai ad
introdurre l'intolleranza in un mondo fino ad allora ricco di divinità che non si escludevano
reciprocamente, si chiede l'egittologo tedesco Jan Assmann?
Il biblista Thomas Römer ritiene
piuttosto che una tradizione dimenticata di monoteismo aperto alla pluralità e pacifico è ben
presente nella Bibbia, parallelamente ad una versione “segregazionista”. Gli scritti sono una cosa,
la loro lettura un'altra.
La sociologa Mahnaz Shirali insiste quindi sui pericoli di un “sapere
canonizzato” che minaccia l'islam contemporaneo, mentre il critico William Marx è irritato nel
vedere i musulmani “stigmatizzati” e rinchiusi in una “essenza fondamentalista”.
Di fronte a
questa guerra degli dei, non bisognerebbe, come l'etnologo Marc Augé, cantare “il genio del
paganesimo”, refrattario al proselitismo?
Bibbia, Corano o Torah: nessun testo sacro delle grandi religioni monoteiste è esente da violenza.
Per questo oggi il rischio risiede nella “tentazione della lettera grezza”, insiste lo storico
dell'ebraismo Jean-Christophe Attias, che invita ad una “smilitarizzazione” dell'esegesi.
L'avversario non è il monoteismo, ma il fondamentalismo in tutte le sue forme, riassume Jan Assmann.
Sono tutti inviti a vivere credenze aperte alla pluralità dei mondi.
Nicolas Truong e Nicolas Weill in “Le Monde” del 26 dicembre 2015
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