Dopo Cahrlie Hebdo e dopo Hyper Cacher, non sono più concesse ambiguità. Se non vogliamo lasciare campo libero alle risorgenti xenofobie e agli ancor più pericolosi razzismi, occorre che puntiamo dritti a rafforzare il paradigma dell’integrazione, abbandonando i cedimenti relativisti che, troppo spesso, ci hanno accompagnati nel vecchio e caro atteggiamento politically correct.
In questo senso, attenzione, occorre rinsaldare con ferrea determinazione i capisaldi dell’integrazione con quelli della formazione alla e della cittadinanza. Detta diversamente: non può esserci vera integrazione senza un progetto che dia piena cittadinanza ai migranti nati sul suolo italiano, ma non possono esserci né integrazione né cittadinanza senza un progetto di formazione culturale (e prima ancora scolastica) che faccia dei “nuovi cittadini”, cittadini a tutto tondo italiani, non solo nella lingua, ma nella costruzione del proprio sistema di riferimenti culturali e valoriali.
In modo che la dimensione religiosa e di fede, rispettosamente e rigorosamente tutelata nella sfera della persona, non travalichi però quegli ambiti cui in uno stato laico essa non deve poter avere accesso. Altra cosa è, ovviamente, favorire tutti i percorsi in atto tra i molti “uomini di buona volontà” che le diverse confessioni esprimono, finalizzati al dialogo interreligioso e alla valorizzazione dei valori dell’uomo che, ogni autentica religione, punta a promuovere.
Questa mi pare la strada giusta. Molto meno, anzi per nulla, mi convincono invece le ricette che puntano a stimolare, quasi per reazione all’aggressione dei fondamentalismo di matrice islamista, una sorta di mobilitazione “militante” e difensiva di matrice cristiana e/o ebraica. Che finirebbe per perdere di vista le molte responsabilità che anche l’Occidente ha accumulato nei secoli nei confronti dei “dannati della terra” e, giacché la memoria dolente dei popoli è molto dura a morire, rischierebbe di funzionare come ulteriore benzina versata nei pressi del fuoco.
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