di Bia Sarasini,in “il manifesto” del 21 gennaio 2015
Giovani, troppo giovani. E ragazze. Si potrebbero riassumere così le «colpe» che sono state buttate addosso a Vanessa Marzullo e Greta Ramelli da quando sono scese dall’aereo che le ha riportate in Italia. Alle due cooperanti che sono state prese appena hanno attraversato il confine tra la Turchia e la Siria e sono rimaste in mano ai sequestratori per cinque mesi e mezzo, non è stato risparmiato nulla di un miserabile repertorio di stereotipi, pregiudizi, rancori conditi da cupa misoginia.
La colpa principale è essersi avventurate – loro così giovani, così ragazze, quindi prede predestinate – in una vicenda più grande di loro, non si capisce perché. O meglio, ricama qualcuno, per inconfessabili motivi, che nei titoli a effetto oscillano tra il fiancheggiamento del terrorismo e il richiamo del sesso, variamente mescolati tra loro.
Eppure nelle poche semplici parole che hanno detto ci hanno ricordato che: «Non dimentichiamo che c’è un massacro in corso». Un massacro, appunto. Proprio lì, in Siria, in corso da tempo, da cui tutti, o quasi, abbiamo voltato gli occhi. Certamente i governi. Di cui ci ricordiamo solo quando arrivano nuovi rifugiati, o quando la guerra lontana sembra che arrivi nel cuore dell’Europa. Come si sono permesse loro, ragazzine senza pensieri, a prendersi a cuore una questione di cui nessuno si vuole occupare, o che tuttalpiù va lasciata agli addetti ai lavori, a quelli che «sanno».
Una ben strana invocazione, in un’epoca che ha fatto dell’ignoranza diffusa, del mancato riconoscimento di competenze e saperi addirittura un fondamento della politica. Come se nella medesima trappola, nel medesimo territorio non fossero stati presi uomini adulti e più che esperti, come l’inviato de La Stampa Domenico Quirico. È questa la sottotraccia delle parole violente con cui Vanessa e Greta vengono apostrofate. Perché siete donne, il vostro corpo porta con sé un carico di sventure che proprio perché siete femmine vi tirate addosso, anzi, visto che vi siete ostinate a essere libere, non potete che essere meritevoli e nello stesso tempo complici di quello che vi è successo. Insomma, ve lo siete cercato. Questo più o meno è il funzionamento della sorda misoginia che sta alla base delle invettive che circolano.
All’origine c’è la libertà. La libertà di due giovani donne occidentali di potersi muovere nel mondo come meglio credono. Il padre di Vanessa l’ha detto chiaramente: «Ho cercato in tutti i modi di fermarla, ma non ho potuto fare niente, è maggiorenne». Suona ovvio, è la certificazione di un cambiamento epocale. Non solo nella vita delle donne, ma nella vita di tutti, come mostrano le convulse reazioni a questa vicenda. Mi stupisce che non si provi a raccontarla diversamente, questa storia.
Due, molto giovani, partono per andare in soccorso di popolazioni in difficoltà, sanno di affrontare rischi, devono attraversare la frontiera clandestinamente, hanno paura, ma anche il cuore che batte forte per l’impresa che hanno in mente. Dopo la cattura, resistono, non si perdono d’animo si fanno forza a vicenda. Al ritorno, chiedono perdono di avere procurato dolore, ma non cedono sulle loro convinzioni. Lì c’è un massacro, dicono. Mi riguarda. Non pensate che se fossero stati ragazzi sarebbe stato più facile riconoscere il coraggio?
Mi spiego meglio. Penso anch’io che il generoso impulso a partire verso luoghi difficili debba essere sottoposto al vaglio della ragione, della prudenza, delle competenze. Eppure mi colpisce vedere che nel nostro paese si sia dimenticato cosa vuol dire la generosità, la passione, l’impulso che spinge la giovinezza a grandi imprese. E soprattutto che non lo si riconosca a loro: due semplici ragazze coraggiose.
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