giovedì 2 giugno 2016

FRANCESCO, IL PROFETA

Non porta bene fare il profeta, lo sappiamo. Sentiamo il gemito di Gesù stesso davanti a
Gerusalemme, poco prima della sua Passione: “Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i
profeti...” (Matteo 23, 37). Pochi giorni dopo, il profeta di Galilea sarà giudicato e giustiziato. È
proprio da profeta che papa Francesco ha fatto quella visita lampo nei campi di rifugiati
sovrappopolati a causa della crisi del Medio Oriente...
All'Europa ha rivolto questo duro richiamo: “L'Europa è la patria dei diritti umani e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare, così si renderà più consapevole di doverli a sua volta rispettare e difendere”. Ecco attualizzate, in una frase, le famose radici dell'Europa, tanto rivendicate. Pur riconoscendo che il problema dei rifugiati è complesso, Francesco indica inequivocabilmente le vie d'uscita: con “soluzioni degne dell'uomo”, invita a “superare la spessa coltre dell'indifferenza che annebbia le menti e i cuori”, e, in quel linguaggio per immagini che sa usare così bene, ricorda, affinché i cuori si aprano, che “i migranti, prima di essere numeri, sono persone, sono volti, nomi, storie”.
Evidentemente, il papa sapeva bene che il suo viaggio a Lesbo non avrebbe risolto niente, ma nel senso più profondo del termine, ha reso testimonianza a quella terribile realtà che cerchiamo di dimenticare ricoprendola di sottigliezze tecnocratiche. La verità è qui svelata: sono uomini, donne, bambini che, attraverso la sua voce, implorano la comunità internazionale di soccorrerli davanti “alla più grande catastrofe umanitaria dalla Seconda Guerra Mondiale”. Di fronte a questo, la risposta cristiana è doppiamente esigente; ognuno di quegli uomini e di quelle donne è un nostro fratello o una nostra sorella, e ognuno di loro è Cristo stesso: “Ciò che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me” (Matteo 25,40). Le parole di Gesù su questo punto sono definitive: è
sull'accoglienza fraterna che saremo giudicati.
E come i profeti, come Geremia o Ezechiele, unendo il gesto alla parola, il papa riporta con sé
dodici di quei rifugiati, musulmani, perché quello che conta, non è la loro religione ma la loro
umanità e il loro stato di bisogno. Quei gesti sono effettivamente profetici, perché ci obbligano a
prendere posizione. Ma c'è anche chi, a volte anche dichiaratamente cattolico, ha fatto commenti da far venire i brividi nella schiena. “Irresponsabile” è il meno peggio tra gli attributi. Alcuni
non esitano: dato che “salva” dei musulmani e non dei cristiani, Francesco è un “antipapa”, un
“massone”, un “devoto del diavolo”. Questa ondata rivela che c'è ancora un volto del cattolicesimo per il quale la religione è solo un indicatore di identità.
Ma queste lamentevoli vociferazioni esagonali non impediscono all'uomo vestito di bianco di
continuare a spalancare le braccia e di incarnare una delle forti coscienze umane di questo mondo.
In questi tempi difficili, abbiamo bisogno di lui.
Estratto da Christine Pedotti in “temoignagechretien.fr”

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