lunedì 27 giugno 2016

E FRANCESCO CONTINUA IL SUO CAMMINO NELLA VERITA'

Ancora una volta, papa Francesco ha sorpreso tutti. È successo a Yerevan, capitale dell’Armenia, durante la tre giorni di visita nel Paese caucasico iniziata venerdì. Un fuori programma gravido di conseguenze per la politica internazionale, destinato a suscitare le ire di Erdogan, ma anche a vincere forti resitenze all’interno del Vaticano stesso. Il tutto per una parola, «genocidio», che a cent’anni di distanza dallo sterminio degli armeni pesa ancora come un macigno. Ma Francesco, si sa, ama andare contro corrente e sa colpire duro anche fra le sue file, quando necessario. Come già nel 2015, il pontefice ha preferito non ascoltare i timori e le reticenze della diplomazia vaticana, cambiando il programma all’ultimo momento. Come ha ricordato padre Lombardi nella conferenza stampa: «la realtà è chiara, e non abbiamo rinnegato quanto è reale». Un’ennesimo schiaffo alla Turchia – erede dell’Impero ottomano che pianificò e mise in atto quello sterminio nel 1915 – che arriva a pochi giorni dal riconoscimento del genocidio armeno fatto dal parlamento tedesco, il Bundestag. Ma, come nella risoluzione approvata in Germania, Francesco ha voluto ribadire qualcosa in più di una generica condanna ai turchi. Nel primo giorno della visita, ha sottolineato le complicità delle potenze europee, che «guardavano dall’altra parte» mentre si compiva la prima delle «tre grandi tragedie inaudite» – come le aveva definite Francesco lo scorso anno a Roma – che hanno segnato il ventesimo secolo: il genocidio degli armeni (insieme a quello di siri cattolici e ortodossi, assiri, caldei e greci), il nazismo e lo stalinismo.

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