martedì 4 ottobre 2016

UNA BELLA NOTIZIA...TONDA E IN BIANCO E NERO!

Lamina, originario dal Gambia, ha 17 anni, ha perso il papà quando ne aveva cinque e la mamma quando ne aveva 12. A 16 anni ha deciso di andare via dal suo Paese e così poco più che adolescente ha iniziato un cammino che lo ha portato fino a Firenze. A piedi, da solo e senza soldi.
Quella di Lamina è una delle tante storie dei calciatori del Teatro del Sale Football club, la squadra composta da 10 italiani e tredici extracomunitari. Che c'è di strano in una squadra di calcio fondata da 10 italiani e 13 extracomunitari? Vista l'attuale composizione di molte squadre di serie A siamo quasi nella norma. Questa invece è una squadra speciale: i giocatori non italiani sono tutti profughi che hanno trovato asilo a Firenze, e che ha lo scopo di favorire l'integrazione attraverso lo sport. Nella rosa anche Uva, centrocampista nigeriano, Francis, difensore centrale ghanese ma anche il docente universitario Neri Binazzi, Neri Calamai, promotore dell'iniziativa e Niccolò, studente universitario che della squadra è anche il capitano. Allenatore Michelangelo, palermitano: una storia di inclusione sociale che vede questi ragazzi allenarsi insieme per ora due volte a settimana. La squadra parteciperà al campionato AICS B2 e giocherà le partite in casa al Velodromo delle Cascine. I ragazzi vestono maglie a righe orizzontali bianco-rosse come i clown.

Persone che si ritrovano a "giocare". Giocare per condividere insieme del tempo di "pace" - o almeno così vorremmo intendere il gioco del calcio - soprattutto con persone che, in questo caso, arrivano da altri mondi, altre culture, altri spazi a noi troppo spesso sconosciuti, e anche per questo temuti. Insieme su di un campo di calcio per condividere, per giocare, per ricominciare forse a vivere in un altro paese, in un'altra dimensione. Piccole esperienze ma grandi di significato per cominciare a cambiare e a scambiare abitudini e culture. Ascoltare altre lingue e sforzarsi di comprendere, essere curiosi sempre, e generosi verso coloro che sono, almeno in questo periodo storico, meno fortunati di noi. Solo attraverso gli altri, quelli che noi chiamiamo "diversi", possiamo incontrare noi stessi e rispecchiarci nella cosiddetta diversità per riuscire a sentire il nostro battito del cuore e la linfa vitale che è fatta della stessa materia per tutti e, in questo caso rincorrendo un pallone, nella speranza che un campo di gioco ci possa insegnare a vivere diversamente, lontano dalle intolleranze, nella fratellanza, nel non avere paura della differenza, e nell'amore, unica vera parola per cui valga la pena di vivere.

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