lunedì 10 ottobre 2016

QUANDO IL PASSATO E IL DIMENTICATO ILLUMINANO IL PRESENTE

Da un po' di tempo nella Chiesa si parla spesso di Cina. Lo stesso Papa Francesco ha espresso il suo desiderio di poter visitare la Chiesa di Cina. In uno degli ultimi numeri della rivista dei gesuiti, «La Civiltà Cattolica», esattamente nel numero del 10 settembre scorso, Nicolas Standaert, si è addentrato nello spazio cattolico della Cina tra il 1600 e il 1700. Il titolo: «Grandi personaggi della Chiesa primitiva in Cina». Con un sottotitolo significativo: «Il ruolo delle comunità cristiane».  Il cristianesimo cinese, anche se illustrato da nomi famosi, è un fenomeno, comunque marginale. Alla morte di Matteo Ricci (1610) c’erano in Cina 2.500 cristiani. Intorno al 1700 erano diventati 200 mila su una popolazione tra i 150 e i 200 milioni di abitanti. Anche in seguito i cristiani in Cina sono rimasti una esigua minoranza. Gli stessi sacerdoti non sono mai stati numerosi. Sempre alla morte di Matteo Ricci erano soltanto 16. In seguito, lungo il 1600, i preti diventarono una quarantina per salire a 140 all’inizio del ’700, con l’arrivo di missionari dall’Europa. Sicuramente un'impronta decisiva alla presenza della fede cristiana in Cina è stata data sia da missionari europei che hanno vissuto in Cina, a cominciare da Matteo Ricci, ma anche e soprattutto da cinesi celebri che si sono convertiti al cristianesimo: gente comune, spesso analfabeta, che costituiva il tessuto di base delle comunità cristiane cinesi. E in effetti le comunità sono state tenute insieme da quelli che l’autore chiama «rituali efficaci», cioè da riti che celebrano feste cristiane, ricorrenze di santi, e dalla preghiera comunitaria.  Il prete passava in particolare per celebrare i sacramenti, ma non è stato lui la figura di riferimento. Le figure di riferimento sono da sempre i laici che hanno avuto il compito di assicurare la sopravvivenza della comunità con il battesimo, e la sua vitalità con riti, feste, preghiere.
Di questa Chiesa di Cina abbiamo sempre un po' avuto una visione come di una Chiesa marginale, costretta a vivere una situazione d’emergenza. Ma ciò che è interessante è che quella Chiesa ha saputo supplire quello che manca - ad esempio l’Eucaristia  - con un sovrappiù di quello che c’è: le devozioni, le preghiere, le attività caritative e, bisogna aggiungere, la formazione e le varie aggregazioni interne. Sarà forse troppo cinese tutto questo, ma c’è anche qualcosa di genuinamente ecclesiale, comunitario che è esportabile fuori di quel tempo e fuori di quello spazio. E tutto questo è, per un credente di oggi, qualcosa di molto incoraggiante, nonostante tutto. Si dice che la storia è «maestra di vita». Maestra di vita non solo per i singoli, ma anche per la Chiesa, e in particolare per la nostra Chiesa occidentale, spesso così dimessa e talvolta così rassegnata, impantanata nei suoi tradizionali clericalismi e alla ricerca di forme innovative e particolari, ma troppo spesso poco evangeliche.

Nessun commento:

Posta un commento

Lettori fissi

Archivio blog