domenica 19 aprile 2015

La Sindone e l’Italia che vuole ripartire 

di Aldo Cazzullo in “Corriere della Sera” del 19 aprile 2015
Un milione di prenotazioni per vedere il lenzuolo che molti storici considerano un falso medievale è un fatto che va oltre la fede. È la conferma di un’Italia che dopo gli anni della decostruzione e della dissacrazione avverte il bisogno di ricostruire, che dopo il tempo del lamento e del disgusto di sé vuole sentirsi comunità e ritrovare le radici. La verità sulla Sindone non esiste. Perché un dubbio e di conseguenza un mistero resisterà sempre. Ma non è questo il dato che conta nell’ostensione di Torino. Negli stessi giorni in cui il mondo guarda all’Expo, e le élites internazionali si portano alla Biennale di Venezia, un popolo si mette in viaggio verso l’altra capitale del Nord, per celebrare un rito religioso ma anche identitario. E la Sindone è senz’altro un elemento dell’identità locale e nazionale. Non a caso fu traslata a Torino quando i Savoia francofoni fecero la scelta dell’Italia. Le ostensioni servivano al prestigio della dinastia, il lenzuolo appariva sul balcone del Palazzo a celebrare matrimoni e nascite. Poi, nel clima laico di Cavour e del Risorgimento, il fascino della cappella che il Guarini pensò come una metafora della morte e della resurrezione, con i marmi scuri in basso e la luce delle finestre in alto, apparve attenuato: a Torino si faceva e si pensava ad altro. Ma il mistero fu rilanciato quando per la prima volta un uomo, Secondo Pia, fotografò la Sindone: ne apparve un’immagine straordinaria, quasi un negativo fotografico, in cui molti contemporanei lessero il volto di Dio. L’ostensione del 1978, in una Torino scristianizzata all’apice dell’era industriale e scossa dalla violenza politica, fu un inaspettato e clamoroso successo (avevo dodici anni e ricordo un’interminabile coda sotto il sole, un’Italia popolare di rosari e veli neri, un clima di grande suggestione collettiva). Seguirono la commissione d’inchiesta e le conclusioni negative tratte dal cardinale Ballestrero, che «maneggiava la Sindone come uno strofinaccio da cucina» come annotò indignato Vittorio Messori. Ma poi venne Wojtyla, che non la considerava «un segno» come i predecessori, aveva l’assoluta certezza che quel lino avesse avvolto il corpo di Cristo e quell’immagine fosse il riflesso dell’energia della resurrezione. Ora — il 21 giugno — verrà Francesco, e con ogni probabilità non farà ipotesi né valutazioni, si ritirerà in preghiera e dialogherà con i fedeli che hanno visto in lui una risposta all’emergenza dei tempi: la crisi economica, il disagio sociale, la sfiducia nel futuro, il difficile confronto con l’Islam. Temi che sono al centro del pontificato di Bergoglio — sociale più che dottrinario — e che torneranno nel Giubileo d’autunno a Roma. Il modo stesso in cui la Sindone ha attraversato i secoli, sfuggendo a una serie di vicissitudini e di incendi — l’ultimo nella notte di venerdì 11 aprile 1997 — che sono stati letti anche come agguati di forze maligne, restituisce l’idea di un «simbolo identitario», come l’ha definito il sindaco Fassino, la cui lettura va oltre le indagini dei «sindonologi»: una strana scienza che mescola la medicina legale alla botanica alla numismatica ed è servita più a costruire carriere e fragili notorietà che a chiarire un enigma destinato a rimanere tale. Per l’Italia uscita sfibrata ma non vinta dalla crisi, quel «simbolo identitario» e la grande attenzione che suscita può essere un segnale importante, non contrario ma complementare al significato religioso del pellegrinaggio. E la Torino che si prepara ad accogliere i visitatori, a tre quarti d’ora di treno dalle folle dell’Expo, è una città profondamente cambiata rispetto a quella della grande ostensione del 1998 (2 milioni e 400 mila arrivi) segnata dalla visita di Giovanni Paolo II. Dopo essere uscita dall’era fordista, anche Torino come Milano sta andando oltre l’economia dei servizi per entrare — con il Politecnico, le fondazioni di arte contemporanea, i nuovi musei, le tecnologie d’avanguardia, i centri di ricerca — nell’economia della conoscenza. I pellegrini della Sindone non sono il Medioevo che ritorna; sono l’Italia d’inizio secolo che tenta di ritrovare se stessa.

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