venerdì 24 gennaio 2020

AUSCHWITZ E' IL SIMBOLO DEL MALE

Sono ormai passati 75 anni, spazio di tre generazioni, da quando le truppe dell’Armata rossa, sulla via di Berlino, aprirono i cancelli del lager di Auschwitz, per trovare poche migliaia di superstiti, più moribondi che vivi (decine di migliaia furono avviati dai tedeschi in fuga nella marcia della morte in direzione di altri lager).
Nel frattempo la storia è andata avanti e anche la memoria di quel luogo dello sterminio, a metà strada fra Cracovia e Katowice, ha subito un’ulteriore evoluzione. Il numero dei visitatori dell’ex lager nazista è in crescita costante, l’anno scorso due milioni e 300 mila persone hanno voluto toccare con mano l’orrore, provare l’emozione che assale il cuore di chiunque si affaccia su quel terreno marcato dalle ceneri di almeno un milione e 100mila uomini e donne, uccisi nelle camere a gas e i cui cadaveri, dopo aver subito l’asportazione dei denti d’oro, furono bruciati a ritmo industriale in enormi forni crematori, costruiti appositamente dalle industrie tedesche. Il museo di Auschwitz-Birkenau è una meta sempre più frequentata: segno che quella memoria è portatrice di un messaggio universale. 
Ma poi, resta la domanda: cosa è Auschwitz? Ha tentato di dare una risposta Wlodek Goldkorn, giornalista di origini polacche,che ha vissuto la sua infanzia a poca distanza da quei campi dove sono stati sterminati molti dei suoi parenti e da dove ha dovuto fuggire con i genitori per potersi rifare una vita in risposta all'antisemitismo del regime polacco nel dopoguerra contro i sopravvissuti dell'Olocausto nazista.
<<Il lager nasce in primavera del 1940, il primo comandante è Rudolf Höss (verrà impiccato non lontano dal suo ufficio, nell’aprile 1947), i primi detenuti sono prigionieri politici polacchi. Poi, con la costruzione di Auschwitz II a Birkenau, nel 1941, il luogo diventa teatro dello sterminio degli ebrei. Stando ai dati dello storico polacco Dariusz Libionka: 439 mila ebrei ungheresi, 300mila polacchi, 70mila francesi, oltre 7.500 italiani. La maggior parte di loro non viene neanche registrata.
Dai vagoni, in arrivo dai ghetti e dai campi di transito, fra cui Fossoli, gli ebrei sono avviati direttamente alle camere a gas: gli uomini marciano a sinistra, le donne a destra, i bambini sono con le donne, i neonati sono spesso strappati dalle braccia delle mamme alla discesa dai convogli, e assassinati dalle Ss con le loro mani.
Quando si parla di Auschwitz come di una “fabbrica della morte” non va dimenticato il lato puramente sadico della prassi dello sterminio: i carnefici godevano per le sofferenze delle vittime. E la morte non era indolore. L’attuale museo viene istituito nel 1947. E anche la forma che è stata data alla memoria è cambiata nel corso degli anni. Fra i primi a voler commemorare i morti c’erano ovviamente gli ebrei. Era un moto quasi spontaneo di artisti, intellettuali, attivisti politici, rimasti in Polonia. Poi tutto venne istituzionalizzato e prevalse una memoria che non aveva affatto al centro il destino degli ebrei, ma seguiva l’idea staliniana della “fratellanza dei popoli vittime del nazismo” e  anzi vedeva nel discorso sulla Shoah, una manifestazione di un “nazionalismo di stampo sionista”.
La Shoah come paradigma della memoria occidentale e come esempio del nichilismo radicale, dell’epifania del Male, del rovesciamento della Rivelazione del Sinai con i suoi dieci comandamenti, per cui i carnefici erano convinti che uccidere fosse bene, è una costruzione culturale relativamente recente e sicuramente necessaria. Un teologo ebreo André Neher parlava del silenzio di Dio. Papa Francesco in quel luogo, visitato nel 2016, volle restare silente. Le parole le ha trovate dopo, per domandare: «Dove era Dio». Primo Levi sosteneva che «se c’è Auschwitz non c’è Dio». Ma forse l’insegnamento più attuale e laico è sempre quello di Levi: «So che gli assassini sono esistiti e che confonderli con le loro vittime è una malattia morale, un prezioso servigio reso (volutamente o no) ai negatori della verità».>>

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