Ogni tanto un fattaccio o una
disgrazia accende i riflettori, produce esternazioni di cordoglio,
promesse di imminenti soluzioni. Nel 2011 morirono quattro bambini nel
rogo (non doloso) di una casupola di legno: basta, via le maledette
baracchette, tuonò allora il sindaco Alemanno. Molti invocano la
chiusura dei campi rom: mai successo nulla perché è impossibile in
assenza di soluzioni alternative. Sempre rimasto, anzi incrementato
negli anni, il degrado degli accampamenti e il disagio degli "altri
abitanti".
Qualche breve osservazione.
Le città sono anch'esse
periferie e dalla periferia andrebbero guardate, colte nei loro bisogni
reali e privilegiate in un'azione di buongoverno. Si tratta di periferie
urbane, ma anche nel contempo di periferie esistenziali. Lo sguardo
sulle periferie esistenziali di artisti come Giovannino Guareschi o Enzo
Jannacci resta di un'attualità esemplare, così come il richiamo di
Francesco è imprescindibile.
La periferia non sono solo "gli
altri", gli immigrati extracomunitari. Basti pensare che i rom in Italia
sono quasi 200mila, metà sono italiani, la stragrande maggioranza sono
qui da almeno dieci anni e comunque sono europei. Nomadi sono solo meno
del 3 per cento. Senza scordare che in periferia vivono quattro o cinque
milioni di italiani sotto la soglia di povertà, e anche i tanti milioni
che sono sopra la soglia ma non hanno troppo da sfogliar verze.
Se sono corrette le analisi di
Baumann, per il quale la società attuale e la sua economia producono
"scarti", le periferie sono destinate a gonfiarsi. La politica invece
guarda ancora le cose dal centro. Vede di solito le periferie come
qualcosa da cui tutelarsi, riducendo il problema a quello della
sicurezza. Promette insomma di costruire quei muri — non necessariamente
alla maniera plateale di Trump — che le paure e le insicurezze diffuse
fanno illusoriamente sentire come baluardo di salvezza.
O si fa strada nella politica e
nella società la cultura dell'incontro, o ci troveremo favelas nascoste
tra il Colosseo e l'Altare della Patria, come a Rio tra Copacabana e
Ipanema: basta girare la testa verso il mare, la spiaggia e la sua bella
fauna... fino al prossimo rogo.
Estratto da Maurizio Vitali in "ilsussidiario.net"
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