lunedì 1 settembre 2014

Ricordando dom Hélder Camara

Moriva il 27 agosto di 15 anni fa Hélder Câmara, uno dei vescovi latinoamericani più
amati, grazie alla sua passione per una Chiesa povera e dei poveri, alla sua attenzione
per le persone e alla sua fede incarnata. Il ritratto di un pastore che può essere
certamente considerato un precursore di papa Francesco.
«Il vescovo rosso Câmara sulla via della beatificazione», strillava Il Messaggero del
29 maggio scorso. Un titolo che la dice lunga su come una parte dell’opinione pubblica ha
accolto la notizia dell’imminente apertura del processo canonico che potrebbe portare
sugli altari dom Hélder Câmara, arcivescovo di Olinda­Recife. Tra i protagonisti della
storia recente (non solo ecclesiale) dell’America Latina, Câmara stesso, per tutta la sua
vita, ha dovuto fare i conti con quella pesante etichetta: «Quando do da mangiare a un
povero mi chiamano santo ­ è una delle sue frasi passate alla storia ­, ma quando chiedo
perché i poveri non hanno cibo, allora mi chiamano comunista».
Curioso: anche papa Francesco, rispondendo alle domande di un gruppo di giovani
belgi, pochi mesi fa aveva chiarito: «Ho sentito che una persona ha detto: con tutto
questo parlare dei poveri, questo Papa è un comunista! No, questa è una bandiera del
Vangelo, la povertà senza ideologia; i poveri sono al centro del Vangelo di Gesù».
Ecco: se c’è un motivo per cui valga la pena oggi, a 15 anni esatti dalla morte, rievocare
la figura di dom Hélder ­ nato nel 1909 e morto il 27 agosto 1999 ­, è la sua passione per i
poveri, il suo straordinario impegno per rendere la Chiesa più fedele a quella di Gesù:
«Una Chiesa povera per i poveri». In questo si può affermare, senza tema di smentite,
che Câmara ha anticipato papa Bergoglio.
Un altro tratto che accomuna decisamente l’attuale Papa e il «vescovo rosso» è lo
stile di sobrietà estrema e la distanza siderale da quella mondanità che Bergoglio non
smette di indicare come uno dei mali della Chiesa attuale. Oggi fa colpo la decisione di
Francesco di vivere in un modesto alloggio a Santa Marta, rinunciando al tradizionale
appartamento pontificio. Ma dom Câmara aveva fatto lo stesso, anni prima, decidendo di
prendere dimora in due modesti locali adiacenti alla Igreja das Fronteiras.
Anche la tomba di Câmara parla di essenzialità: una semplice lastra di marmo chiaro,
su cui sono incisi solo il nome e le date di nascita e morte, con una colomba stilizzata. È
collocata nella cattedrale di Olinda, antica città coloniale a pochi chilometri da Recife. Da
quella chiesa, oggi meta di pellegrini e turisti, si gode una vista spettacolare sulla città
sottostante e sull’intera baia.
Ancora. Papa Bergoglio parla dei poveri come della «carne di Cristo». Câmara, per
tutta la sua vita, ha manifestato una premura per gli ultimi che, prima ancora di assumere
i toni della denuncia sociale, si configurava come attenzione alle persone in gesti semplici.
In proposito, ecco una preziosa testimonianza di Marcelo Barros, abate benedettino e
teologo della liberazione, collaboratore di dom Hélder per 12 anni: «In ogni fratello e
sorella che incontrava lui vedeva la presenza divina ­ ha scritto tempo fa su Nigrizia ­. Una
volta alla settimana ci riunivamo a casa sua. Mentre parlavamo, molte persone
bussavano alla porta. Egli stesso si alzava e le riceveva. A volte si dilungava nell’ascolto.
Diceva: “Ci tengo a riceverli personalmente, perché non voglio perdere il privilegio di
accogliere il Signore stesso”».
PROTAGONISTA DEL CONCILIO
È interessante osservare come, al pari di Oscar Romero, altro gigante della Chiesa
latinoamericana, anche monsignor Câmara abbia percorso un cammino personale di
«conversione», prima di prendere le posizioni coraggiose che conosciamo. Nato in una
famiglia numerosa, era cresciuto in un ambiente ecclesiale piuttosto conservatore.
Ordinato sacerdote nel 1931, si converte ai poveri quando, nel 1952, diventa ausiliare del
cardinale di Rio de Janeiro: è in quel periodo che il giovane e dinamico vescovo si
conquista sul campo il soprannome di «vescovo delle favelas».
Il carisma di dom Hélder si dilata presto fuori dai confini della città. Nel 1952 è tra i
promotori della Conferenza episcopale brasiliana, di cui diventa segretario per 12 anni.
Tre anni dopo, lancia la convocazione a Rio della prima Conferenza dei vescovi latino­
americani, da cui nascerà il Celam (Consiglio episcopale latinoamericano).
Nel 1964 ­ anno del golpe che instaura il regime militare in Brasile ­ Câmara viene
nominato arcivescovo di Recife, capitale del Pernambuco, nel Nord­Est, la regione più
povera del Paese. Il giorno dell’ingresso ufficiale, il nuovo arcivescovo non vuole essere
accolto dentro la cattedrale, ma sulla piazza, in mezzo alla gente. Negli anni successivi
l’impegno di dom Hélder a servizio dei più deboli continuerà senza sosta, con prese di
posizione coraggiose che lo renderanno famoso in tutto il mondo. Una frase riassume
efficacemente il senso profondamente evangelico delle sue battaglie: «La rivoluzione
sociale di cui il mondo ha bisogno non è un colpo di Stato, non è una guerra. È una
trasformazione profonda e radicale che suppone Grazia divina».
Pur senza prendere mai la parola durante le sessioni di lavoro, fu uno dei protagonisti del
Concilio Vaticano II, tra gli ispiratori del famoso «Patto delle catacombe»; per
comprenderne il ruolo cruciale basta leggere le sue circolari raccolte in Roma, due del
mattino (San Paolo 2011). Nel 1970 il Sunday Times arrivò a definire dom Hélder «l’uomo
più influente dell’America Latina dopo Fidel Castro».
Il paradosso è che l’interessato non aveva progettato una «carriera» da profeta. Anzi,
all’età di 34 anni, in un momento di sconforto, aveva scritto: «Attraverserò la vita senza
lasciare nessun segno incisivo. Guarderò da lontano san Francesco Saverio senza
poterlo imitare. Ancor più da lontano guarderò san Francesco d’Assisi. Al mio funerale
qualcuno dirà che non ho prodotto tutto quello che avrei potuto produrre».
Oggi sappiamo bene che non è così: Câmara, infatti, va annoverato fra coloro che
hanno impresso una svolta decisiva alla Chiesa del nostro tempo. Bastino queste ultime
parole a mostrarne l’attualità: «Se Marx avesse visto intorno a sé una Chiesa incarnata,
continuatrice dell’incarnazione di Cristo; se avesse vissuto con cristiani che amavano, in
modo reale e con i fatti, gli uomini come espressione per eccellenza dell’amore di Dio, se
avesse vissuto nei giorni del Vaticano II, che ha riassunto tutto ciò che di meglio dice e
insegna la teologia circa le realtà terrene, Marx non avrebbe presentato la religione come
l’oppio dei popoli e la Chiesa come alienata e alienante».
Gerolamo Fazzini

Nessun commento:

Posta un commento

Lettori fissi

Archivio blog