martedì 9 settembre 2014

DONNE CHE HANNO AMATO...FINO ALLA MORTE!

in “il manifesto” del 9 settembre 2014
«Il sangue versato diventi seme di speranza per costruire l’autentica fraternità tra i popoli». 
È questo l’auspicio di papa Francesco espresso in un telegramma di cordoglio inviato ieri,tramite il segretario di Stato vaticano, alla superiora generale delle Missionarie Saveriane, Ines Frizza, la congregazione religiosa a cui appartenevano le tre suore missionarie uccise in Burundi. Un secondo telegramma,è stato indirizzato anche a monsignor Evarist Ngoyagoye, arcivescovo di Bujumbura, per esprimere «vicinanza alla loro comunità religiosa, alle loro famiglie, nonché a tutta la comunità diocesana».
Al «dolore» del papa si è associato lo stesso Ngoyagoye: «Apprendere delle tre missionarie italiane uccise ci ha scioccati. Ancor più nel sapere che erano persone anziane e avevano trascorso la vita in Africa. È un colpo barbaro per tutta la comunità», ha dichiarato l’arcivescovo di Bujumbura, che ha esteso le condoglianze a tutte le missionarie saveriane e «alle famiglie delle vittime, per la perdita di queste donne che si sono totalmente spese per la missione». Le Missionarie Saveriane esprimono «gratitudine per queste sorelle che, nonostante la salute fragile, hanno deciso di tornare in missione e hanno dato la vita fino alla fine»; e «gratitudine anche nei confronti della popolazione e di tutti coloro che stanno esprimendo la loro vicinanza e solidarietà».
«Tutte e tre hanno amato la gente d’Africa, nella Repubblica Democratica del Congo prima, e in Burundi poi». Con la loro testimonianza «ci invitano a non lasciare che il dolore abbia l’ultima parola».
Allarga lo sguardo oltre il cordoglio la Caritas italiana, che da anni collabora con la diocesi di 
Bujumbura e con i missionari saveriani per la promozione della pace tra i giovani proprio nei 
quartieri nord della città, dove è avvenuto l’assassinio. «Purtroppo l’accaduto, al di là delle 
dinamiche che verranno accertate dalle autorità competenti, riporta l’attenzione su un Paese 
dimenticato quale è il Burundi che da decenni vive in condizioni disastrose agli ultimi posti nella 
classifica mondiale di tutti gli indicatori di benessere. Il terribile evento – prosegue la nota della 
Caritas – deve indurre tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà a superare la globalizzazione 
dell’indifferenza».

3 commenti:

  1. Commozione. Dolore. Un forte sentimento di gratitudine. Diverse migliaia di persone hanno assistito mercoledì a Bujumbura ai funerali delle tre suore italiane trucidate domenica nel loro convento a Kamenge, nella zona nord della capitale del Burundi. Alla Messa erano presenti anche molti religiosi e decine di diplomatici stranieri che hanno voluto rendere omaggio alle anziane missionarie saveriane Olga Raschietti, Lucia Pulici e Bernardetta Boggian(Avvenire, 10 settembre).

    SEPOLTURA IN CONGO
    Poi le salme delle tre donne sono state trasferite a Bukavu, nella Repubblica democratica del Congo. Nel vicino Paese africano le religiose avevano per anni testimoniato la loro fede, sempre al servizio dei poveri, prima di arrivare in Burundi. E lì che oggi verranno sepolte nel cimitero di Panzi, accanto ad altri missionari morti o uccisi nel Continente africano. «Non ci sarà il rimpatrio delle salme per volontà espressa dalle nostre sorelle missionarie e perché la gente, che hanno amato e servito, desidera che rimangono con loro», ha dichiarato all’agenzia vaticana Fides (10 settembre)suor Delia Guadagnini, ex superiora regionale delle Missionarie Saveriane per la Repubblica Democratica del Congo e il Burundi.

    DEDITE ALLA MISSIONE
    «Tutte hanno voluto ritornare nella loro missione, non per cocciutaggine, ma per dedizione. Hanno offerto la loro fragilità come avevano offerto la loro forza quando sono state per molti anni in Congo o in Brasile», dice a La Repubblica (9 settembre) una consorella delle Missionarie di Maria Saveriane, Teresina Caffi. «Non erano più in grado di fare compiti gravosi come in passato, ma volevano essere presenti tra quelle persone ancora sconvolte dalla guerra ma con la voglia di ricominciare. E volevano che quella casa a Kamenge rimanesse aperta, non ci sono più tante suore giovani», fa eco Suor Giordana Bertacchini direttrice della rivista delle Missionarie.

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  2. Paolo Dall'Oglio
    Gesuita del monastero di Deir Mar Musa (Siria)
    CIO' CHE SALVA UNA VITA.
    _________________________
    L’ipotesi che si possa fallire la propria vita è drammatica.
    E tuttavia non invalida in nessun punto l’amore che Dio ha per ognuno. Fallire la propria vita sul piano sociale, professionale, psicologico, relazionale, fisico non è grave, a patto che si riesca a cogliere, nello sguardo di qualcuno, la certezza che essa non sia fallita sul piano ontologico.

    Se io cominciassi a credere che certe persone sono abbandonate da Dio, a ritenere il Creatore incapace di occuparsi di ognuno, a credere nella fatalità, se cedessi di un millimetro a questa logica, allora sarei io il primo a essere perduto. Senza contare che un Dio così non mi interesserebbe affatto...

    Il vero, unico modo per fallire la propria vita è odiare l’amore di Dio. Si fallirebbe la propria vita se si pensasse che Dio è stupido ad ammazzarsi di fatica per cercarci, se ci si domandasse: «Perché, dopo tutto, questo Dio ama così tanto gli uomini (tanto da crearli, dare loro la libertà, la parola) e come fa a sopportare di essere ringraziato così malamente?». Se si lasciasse questa domanda senza risposta, finiremmo presto per odiare ciò che è buono e gratuito.
    E qui si fallirebbe la propria vita. In caso contrario, si è catturati, condannati alla bontà.

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  3. Il martirio dei cinque pani e due pesci
    di Giorgio Bernardelli | 08 settembre 2014
    Le tre anziane suore saveriane uccise erano tornate in Burundi consapevoli della propria debolezza. E proprio per questo capaci di donarla fino in fondo

    «Sono ormai sulla soglia degli ottant'anni. Nel mio ultimo rientro in Italia, le superiore erano incerte se lasciarmi ripartire. Un giorno, durante l'adorazione, pregai: "Gesù, che la tua volontà sia fatta; però tu sai che desidero ancora partire". Mi vennero limpidissime in mente queste parole: "Olga, credi di essere tu a salvare l'Africa? L'Africa è mia. Nonostante tutto, sono però contento che parti: va' e dona la vita!". Da allora, non ho più dubitato».

    suor Olga Raschietti



    «Sto tornando in Burundi, alla mia età e con un fisico debole e, limitato, che non mi permette più di correre giorno e notte come prima. Interiormente però credo di poter dire che lo slancio e il desiderio di essere fedele all'amore di Gesù per me concretizzandolo nella missione è sempre vivo. La missione mi aiuta dirgli nella debolezza: "Gesù, guarda, è il gesto d'amore per te".... Unita a Lui, al suo donarsi, anche se mi sento debole fisicamente, sento che posso essere ancora a servizio di Lui per la salvezza del mondo».

    suor Lucia Pulici



    È la sorte dei martiri missionari: un fatto tragico porta ad accendere per un giorno i riflettori sulle loro vite, fino a quel momento del tutto nascoste, spese per gli altri nelle periferie del mondo. Oggi è toccato alle tre suore saveriane - suor Olga, suor Lucia e suor Bernardetta - uccise in maniera efferata in Burundi.

    L'emozione è grande in queste ore. Ma la domanda è sempre la stessa: al di là del dolore, al di là dei particolari più truculenti, al di là di questo stesso angolo tormentato dell'Africa che per un giorno almeno abbiamo riscoperto, quale messaggio ci lasciano in eredità queste vite donate?

    Nel ricordo pubblicato dalle consorelle sul sito delle Missionarie Saveriane mi hanno colpito molto queste due frasi di suor Olga e suor Lucia, che parlano della debolezza di questa loro ultima età della missione. Sono le parole di due suore anziane che anche fisicamente sentono affievolirsi le proprie forze. Eppure riescono a trasformare questa esperienza in uno sguardo d'amore.

    La loro è la missione di chi non pensa di raddrizzare il mondo, ma semplicemente mette a disposizione quel poco che gli è rimasto. «Tutte e tre - hanno scritto le consorelle saveriane - malgrado l'avanzare dell'età, la fragilità della salute, erano tornate con fede e passione in terra d'Africa, credendo che anche i "cinque pani e due pesci" delle loro ridotte forze poteva essere un dono per la popolazione e per il regno di Dio».

    La missione dei «cinque pani e due pesci».

    La missione di chi non sta a rimpiangere i tempi andati.

    La missione di chi non smette di amare.

    È finito il tempo dei missionari eroici: chi li conosce un po' da vicino sa che oggi una buona fetta dei missionari italiani in giro per il mondo ha l'età di suor Olga, suor Lucia e suor Bernardetta. Testimoni fino all'ultimo della volontà di partire ancora. Pronti - se necessario - a donare per il Vangelo anche una vita indebolita dagli acciacchi. Icona radicale di quella Chiesa «in uscita» - sempre e comunque - verso la quale Papa Francesco non si stanca di spingerci.

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