Due donne, Kanaka e Bindu, vestite di nero, come la notte che le avvolge, riescono a penetrare il sacro
tempio hindu di Sabarimala, nel Kerala, dedicato al dio Ayappa, un dio "celibe e casto", che secondo
tradizioni secolari non scritte, ma saldamente radicate tra i seguaci del culto, risulterebbe "offeso" dalla
presenza nel suo tempio di donne in età fertile.
Sono riuscite a entrare solo perché scortate dalla polizia
locale, incaricata dal governo dello Stato di far applicare la sentenza della Corte Suprema approvata nel
settembre scorso, con la quale si elimina quella discriminazione rivolta alle donne mestruate, ritenuta
"incostituzionale" in quando lesiva della parità e dell'uguaglianza sessuale. I custodi del tempio hanno
gridato al sacrilegio e invocato maledizioni su quelle donne "impure". Nel contempo sono scoppiati
disordini e violenze nel Paese.
Gli ultrareligiosi hanno organizzato scioperi, manifestazioni, chiusura di scuole, negozi, esercizi pubblici,
proclamando la necessità di una disobbedienza civile, per salvaguardare i valori religiosi (anche se, di fatto,
nessun testo scritto impone quel divieto).
Anche le due donne, Kanaka e Bindu, hanno compiuto un atto di disobbedienza: obbedendo alla
legge dello Stato hanno disobbedito a secolari convinzioni tribali. Non solo. Ma il loro gesto,
brutalmente osteggiato, ha dato luogo a una straordinaria catena umana di più di tre milioni di donne
che, tenendosi per mano, nei loro sari colorati, sgargianti, poveri ed eleganti, uguali e diversi come sono
gli esseri umani, hanno rivendicato, senza spargere parole o azioni di violenza, il diritto per chiunque,
uomo o donna che sia, di pregare in qualunque tempio, di fronte a qualsivoglia dio.
Due tipi di disobbedienza. Due motivazioni, e due esiti, completamente opposti. Come stabilire
quale di queste disobbedienze sia valore e quale semplicemente crimine? Forse è sufficiente
guardare alle parole che si possono trovare in tutte le tradizioni, anche se magari formulate
diversamente: avere come obiettivo la libertà, la giustizia, la fraternità per tutti forse è qualcosa che
può rendere ogni disobbedienza una virtù.__________________________________________________________________________
di Gabriella Caramore in “Jesus” del febbaio 2019
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