Si sta ormai depositando il polverone sollevato dalla scelta da Fabiano Anoniani,detto Fabo, e il problema sta quasi rientrando nella normalità: i progetti di legge sul fine-vita giaceranno nei cassetti dei
parlamentari, il polverone mediatico ristagnerà inerte sulle coscienze
di tutti, la vita andrà avanti… ma i problemi dell’accanimento
terapeutico, dell’eutanasia, del rispetto delle scelte di coscienza di
chi, giunto ad una situazione di vita che, in qualche modo è non-vita,
rimarranno lettera morta chissà per quanto tempo ancora.
E’ vero che di fronte al problema del fine-vita ci sono forti remore per
chi è credente, che provocano talvolta prese di posizione talmente
rigide che vanno al di là del rispetto del dolore altrui e del valore
della coscienza di chi fa altre scelte. E’ altrettanto vero che anche
nell’ambito dei credenti avvengono dei ripensamenti sul valore della
vita, della malattia, dell’accanimento terapeutico, del rispetto della
volontà del malato.
Già il cardinal Martini, che ebbe la sfortuna di vivere i suoi ultimi
anni con una forma di malattia irreversibile, propose alcuni spunti di
riflessione che ebbero un forte impatto con la coscienza dei credenti e
dei non credenti. A proposito del caso Welby scrisse: “…con lucidità ha chiesto la sospensione della terapia di
sostegno respiratorio, costituita negli ultimi nove anni da una
tracheotomia e da un ventilatore automatico, senza alcuna possibilità di
miglioramento… Questo in particolare per l’evidente intenzione di
alcune parti politiche di esercitare una pressione in vista di una legge
a favore dell’eutanasia. Ma situazioni simili saranno sempre più
frequenti e la Chiesa stessa dovrà darvi più attenta considerazione
anche pastorale”. Il cardnal Martini si rendeva conto che la
crescente capacità del progresso medico fosse altamente positivo per
protrarre la vita anche in condizioni impensabili nel passato, ma nello
stesso tempo avvertiva che le nuove tecnologie hanno bisogno di un
supplemento di saggezza per evitare lunghi trattamenti che non portano
alcun giovamento alla persona malata.
Dopo la storia di Fabo è chiaro che occorre distinguere tra eutanasia e astensione dell’accanimento terapeutico, che sono due aspetti sovente confusi. E su questo punto la riflessione del cardinal Martini fu ancora più profonda: “Il
punto delicato è che per stabilire se un intervento medico è
appropriato non ci si può richiamare a una regia generale quasi
matematica, da cui dedurre il comportamento adeguato, ma occorre un
attento discernimento che consideri le condizioni concrete, le
circostanze, le intenzioni dei soggetti coinvolti, in particolare non
può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete –
anche dal punto di vista giuridico, salvo eccezioni ben definite – di
valutare se le cure che gli vengono proposte, in tali casi di
eccezionale gravità, sono effettivamente proporzionate”.
Davanti a noi c’è un cammino di responsabilità che non deve essere
interrotto o dimenticato, un cammino di riflessione e di impegno perché i
casi come quello di Fabo, non restino irrisolti sul piano della
legislazione che in Italia non ha ancora trovato una soluzione.
Nessun commento:
Posta un commento