venerdì 1 maggio 2020

SI RINNOVA IL VECCHIO SCONTRO STATO-CHIESA?

INTERVISTA AL VESCOVO DI ASCOLI PICENO DI A.Zambrano su www.lanuovabq.it  del 16 Aprile 2020      ____________________________________
Monsignor Giovanni D’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno, quando si tornerà a Messa?
È questa la vera domanda che tutti ora dobbiamo porci.
Quindi?
Spero presto, prestissimo, perché è il popolo a chiederlo.
Ha ricevuto richieste?
Tantissime dai miei fedeli, la mia esperienza quotidiana mi fa toccare il desiderio di tanta gente che vuole al più presto rientrare in chiesa.
Lei ha detto recentemente che non ha condiviso la sospensione delle Messe…
Nella mia diocesi non ho mai chiuso le chiese e ho voluto che i sacerdoti stessero vicino alla gente.  
Si può pensare a organizzare Messe che prevedano distanziamento sociale?
Sì, ma non mi addentrerei in discorsi tecnici di questo tipo, potete immaginare da voi stessi che cosa possa servire.
D’accordo, noi abbiamo avanzato già da tempo la proposta di Messe distanziate con servizio d’ordine, raddoppiate di numero e ridotte nel tempo di celebrazione…
Posso trovarmi d’accordo, ma ripeto, ora mi sta a cuore far passare un altro concetto.
Quale?
Io dico che la gente ha sofferto per non essere potuta andare in chiesa. Di questo bisogna tenere conto. Quello del culto è un diritto inalienabile e la sua libertà deve essere garantita.
La partita è in mano al governo, ma i vescovi dovrebbero fare pressioni. D’altra parte tutti stanno facendo pressioni per riaprire. Prenda gli stabilimenti balneari…
Mi auguro che la decisione di riaprire le chiese non sia del Governo ma sia della CEI, cioè nostra. Certo, ci deve essere un accordo tra Chiesa e Stato come è logico che ci sia, ma si deve arrivare al più presto a trovare le modalità per riaprire.
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LA RISPOSTA DI di Tonio Dall’Olio in “www.mosaicodipace.it” del 29 aprile 2020 
Mons. D'Ercole, dopo aver letto la sua intervista e seguito la sua esternazione in video circa le decisioni del governo di non consentire ancora le celebrazioni liturgiche con la partecipazione di popolo, non le nascondo che sono stato tentato a più riprese di scriverle una lettera per dirle quanti chilometri dista la sua visione di chiesa dalla mia. Poi mi sono imbattuto in una riflessione di don Tonino Bello, un vescovo profeta della nonviolenza evangelica e dei poveri. Non le sfuggirà di certo la sua testimonianza di fede e di vita dal momento che, ho visto, lei talvolta indossa una copia della sua originale croce pettorale. Mi sono deciso pertanto a dare la parola a lui: 
«Una Chiesa povera, semplice, mite. Che sperimenta il travaglio umanissimo della perplessità. Che condivide con i comuni mortali la più lancinante delle loro sofferenze: quella della insicurezza. Una Chiesa sicura solo del suo Signore, e, per il resto, debole. Ma non per tattica, bensì per programma, per scelta, per convinzione. Non una Chiesa arrogante, che ricompatta la gente, che vuole rivincite, che attende il turno per le sue rivalse temporali, che fa ostentazioni muscolari col cipiglio dei culturisti. Ma una Chiesa disarmata, che si fa "compagna" del mondo. Che mangia il pane amaro del mondo. Che nella piazza del mondo non chiede spazi propri per potersi collocare. Non chiede aree per la sua visibilità compatta e minacciosa, così come avviene per i tifosi di calcio quando vanno in trasferta, a cui la città ospitante riserva un ampio settore dello stadio. Una Chiesa che, pur cosciente di essere il sale della terra,non pretende una grande saliera per le sue concentrazioni o per l’esibizione delle sue raffinatezze. Ma una Chiesa che condivide la storia del mondo. Che sa convivere con la complessità. Che lava i piedi al mondo senza chiedergli nulla in contraccambio, neppure il prezzo di credere in Dio, o il pedaggio di andare alla messa la domenica, o la quota, da pagare senza sconti e senza rateazioni, di una vita morale meno indegna e più in linea con il vangelo» (don Tonino Bello, Natale i poveri esistono ancora, in Rocca, 15.12.1985, pag. 45-47)

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