sabato 14 novembre 2020

SE L'AVETE PERSA...LEGGETE QUESTA LETTERA!


Caro Joseph, questa è la mia personale lettera di scuse. Anzi: di richiesta di perdono. Parlo a nome mio e di nessun altro, ché sarebbe troppo lungo e faticoso intestarsi la curiosa dicotomia per cui metà mondo ha il problema di come acquistare un plasma a 600 pollici e l’altra metà di come sfuggire a fame, guerre, cambiamenti climatici. Con quelli del plasma che intanto alzano il ditino: "Eh no, caro mio. O scappi dalle bombe o niente. Qualcuno ha visto il telecomando del dolby surround?". Ti chiedo perdono perché mi sono abituato. Perché, magari non scientemente, deve essermi sembrato normale il rischio che qualcuno mi morisse sulla soglia di casa. Perché non sono sceso e non scendo in piazza allo stesso modo, ora che c’è un governo meno nemico di quattro regole democratiche, contro questi decreti inumani che fanno di quelli come te carne da cannone, bambolotti persi nel male e nel mare, notizie marginali, dopo pagina venti. Ti chiedo perdono perché certo, quando il ministro degli esteri derubricava le Ong a taxi del mare, quando i giornaloni che si dicono"ini" facevano loro da grancassa, quando l’intestino del Paese era diventato lo scarico delle cattive coscienze, quando il predecessore di questo presidente, curiosamente omonimo, avallava senza batter ciglio leggi oggettivamente assassine, quando quelli prima avevano smantellato l’operazione Mare Nostrum lasciando il Mediterraneo senza un lampo di misericordia, quando i ministri progressisti avevano costruito le gabbie in cui saresti ritornato se per caso fossi scampato alle onde…ecco: io non ho detto niente. Cioè, l’ho anche detto. Ma flebilmente. Non mi sono strappato le vesti, non ho denunciato ogni giorno, non mi sono battuto perché la mia opinione minoritaria lo fosse di meno. Ho accettato che non la mia parte politica, che non rintraccio da anni, ma la mia area culturale di riferimento rinculasse anche su questo. Si fingesse morta per timore di diventare tappeto su cui pulire, strisciando forte, gli anfibi indossati dagli opinionisti a cottimo. Quelli che urlano e se la prendono con le "dittature degli altri". Quelli che ce la fanno in testa e ci dicono che piove. Quelli che fanno fattura con la violenza verbale. Chiedo perdono a te, Joseph, e alla tua mamma. E agli altri uomini affogati mentre credevano che da queste parti comandasse la civiltà e non il consenso spicciolo, il voto immediatamente successivo, i dieci grammi di decenza da spargere sull’odio ché non si sa mai, poi si perdono le elezioni. Sai, Joseph, credo che i teorici dell’Africa che in Italia non ci sta (e certo che non ci sta: scappano appena possono) forse un morto per annegamento non l’abbiano mai visto. Non sanno quanto sia terribile. Non conoscono quei tessuti rigonfi, il volto divenuto pallone, il colore. O forse vedono, e se ne fregano, perché è stato loro insegnato che odiare non è reato. Anzi. Scrivono "negro", lo rivendicano, poi magari dicono che non abbiamo capito. Vi abbiamo capiti benissimo, invece. Ti chiedo perdono, Joseph, perché alla fine tutta ‘sta storia è una storia di mafia, di omertà, di rassegnazione. Anche e soprattutto la mia. Quando qualche anno fa il ministro Lunardi, nel governo di un signore che oggi diventa padre della patria, le cui televisioni hanno cotto a bassa temperatura il brodo di coltura della psicodestra che oggi ci ottunde, ci circonda, ci spaventa, ci induce a miti consigli lessicali… quando lui, Lunardi, disse che con la mafia si doveva convivere, tutti ci sollevammo. Oggi conviviamo col razzismo. Senza un battito di ciglio. Lo stesso razzismo che la mafia titilla per controllare il territorio, ché più poveri ci sono da controllare, di tasca, di spirito, di consapevolezza, di cuore, da aizzare contro altri poveri, e più quella roba che uccide lo Stato prospererà. Letale. Per tutti noi. Ti chiedo perdono, Joseph, per essere stato zitto. Anche se oggi parlo mentre ti piango. Ma è tardi.

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Luca Bottura in “la Repubblica” del 14 novembre 2020 

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