Enzo Bianchi, Priore di Bose
Dal quotidiano La Repubblica, 9 settembre 2015.
Il rifiuto è più sociale o più confessionale?
«Quello
confessionale l'hanno gridato a suo tempo il cardinal Biffi e il
vescovo Maggiolini, secondo cui bisognava eventualmente accogliere solo i
cristiani. Ma il problema è la vera e propria fabbrica di paura dei
barbari, edificata da forze politiche attente solo all'interesse locale,
forze che prima di Francesco la chiesa italiana ha assecondato, anche
se all'inizio sembravano assumere riti pagani, precristiani, quelli sì
barbarici. Ora si proclamano cattolici ma io li chiamo cristiani del
campanile. Il grande silenzio di una chiesa complice li ha aiutati a
iniettare nel tessuto sociale del territorio il veleno della xenofobia».
La memoria storica
ecclesiastica, la conoscenza delle ere passate di cui si nutre, non ha
anche il dovere di ricordare a tutti l'onda lunga della tolleranza
islamica?
«La convivenza di
cristiani, ebrei e musulmani nel corso del medioevo islamico ha fatto
fiorire momenti di cultura straordinari. L'islam è una religione di pace e mitezza con una mistica
di forza pari a quella cristiana. Se nel Corano ci sono testi di
violenza, non sono molto diversi da quelli che troviamo nella Bibbia e
che ci fanno inorridire. La lettura integralista della Bibbia può
rendere integralisti quanto quella del Corano. L'esegesi storico-critica
delle scritture, cui il cristianesimo è approdato con fatica e subendo
terribili condanne dell'autorità ecclesiastica, è il primo passo di un
lungo cammino che aspetta anche i musulmani. Nel frattempo servono
ascolto, dialogo, seri studi universitari per dissipare la propaganda
ideologica che attecchisce sull'ignoranza: non è vero che l'islam è una
religione della violenza e della jihad, affermarlo serve solo a
giustificare la nostra nei suoi confronti».
Dai
Buddha di Bamyan al tempio di Bel a Palmira, il nostro secolo assiste
ad atti islamisti di cancellazione del passato dal contenuto altamente
simbolico. Ma non è chiaro quanta parte effettiva vi abbia la religione o
la religiosità.
«Il
problema non è religioso, è sociale ed economico. Gli integralisti
islamici, anche abbattendo una chiesa, non mirano tanto a offendere la
fede cristiana quanto a colpire l'occidente. Un pacifico abitante di
Palmira mi ha detto: "Voi occidentali, piangendo la distruzione di
templi etichettati dall'Unesco, date l'idea di averli più cari della
nostra popolazione. Cosi li fate diventare una protesi dell'occidente
nella nostra terra". Mostrando di tenere così tanto a un pezzo di
colonna — giustamente, perché è segno di un cammino di umanizzazione —
ma facendo saltare in aria le persone nelle guerre da noi scatenate in
Iraq, in Siria, in Libia, finiamo per apparire mostruosi. Certo le
distruzioni dell'Is sono crimini contro l'umanità oltre che contro la
cultura e la dignità dei monumenti va difesa, ma abbiamo la stessa forza
nel difendere le popolazioni perché non soccombano alle nostre armi o
non trovino vie di morte nella migrazione?».
I
popoli sono in marcia. Il che pone anche specifici
problemi sociali come quello del ruolo della donna: l'islam impone il
velo, ma non trovi che anche nella chiesa cristiana ci sia un ritardo?
«Si
dice sbrigativamente che certi musulmani siano ancora nel medioevo. Ma
il velo completo per le suore di clausura è stato abolito solo nel 1982.
È molto recente la presa di coscienza della pari dignità della donna e
dell'uomo nel cristianesimo, che non ha ancora nemmeno il linguaggio per
esprimerla. La soggezione delle donne agli uomini è un retaggio
scritturale nell'islam, ma è presente anche nelle nostre scritture: san
Paolo afferma che le donne non devono assolutamente parlare
nell'assemblea della chiesa e devono stare a capo coperto. Di nuovo,
serve una rilettura storico-critica di tutti i libri sacri, per
scorgerne l'intenzione e non le forme. Nella chiesa c'è buona volontà ma
poi della donna si hanno immagini irreali: il modello di Maria, vergine
e madre, che non può essere il riferimento per una promozione della
donna nella chiesa. Non siamo ancora capaci di prendere
sul serio l'uguaglianza indubbia tra uomini e donne. Il cammino per la
chiesa è ancora lunghissimo perché ovunque ci sia un esercizio di
comando restano gli uomini, mentre le donne sono confinate al servizio
umile».
"Misericordia e perdono": sono istanze che, dall'ambito
ecclesiale cui appartengono, possono suggerire prassi anche giuridiche e
sociali?
«Declinare la giustizia con il
perdono, anche a livello politico, è un'esigenza che già Giovanni Paolo
II aveva evocato con forza in un suo messaggio per la Giornata della
pace. L'insistenza di papa Francesco sulla pratica della misericordia,
vissuta nei secoli da tanti cristiani d'oriente e d'occidente anche in
controtendenza rispetto alla mentalità dominante, dischiude percorsi
fecondi nella faticosa purificazione della memoria cui non ci possiamo
più sottrarre, pena l'abbrutimento di ogni nostra relazione».
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martedì 15 settembre 2015
LA CHIESA DEL FUTURO
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