mercoledì 28 maggio 2014

La moglie del prete

di Paolo Rodari, in “la Repubblica” del 19 maggio 2014
C'è chi le ha chiamate per lungo tempo «le rivali di Dio». Ma oggi, nell’era di Francesco, il Papa
che come Giovanni XXIII ritiene che la medicina della Chiesa sia la misericordia — senza la carità
«non sono nulla», scrisse san Paolo ai Corinzi — l’ignominia potrebbe finalmente essere cancellata.
Sono donne come tante, che a un certo punto del cammino si sono innamorate — ricambiate — di
un prete e, a motivo di questo amore, hanno patito sofferenze non da poco. Guardate con sospetto,
molte hanno capitolato soffocando i propri sentimenti. Altre hanno tenuto duro e, nella
clandestinità, hanno vissuto da amanti il resto della propria vita. Altre ancora, invece, sono uscite
allo scoperto assieme al proprio compagno, anch'egli tuttavia da subito schedato all'interno di una
precisa categoria, quella degli «spretati». “Le défroqué” (Lo spretato), non a caso, è il titolo con cui
nel 1953 Leo Jannon portò nelle sale un film con epilogo drammatico dedicato alla vita di un prete
che lasciò l’abito. A significare che nel film, come nella realtà, lei e lui vivono il medesimo destino
di esclusi perché ribelli, gente che in qualche modo va oltre le regole del consentito. Certo, dopo il
Concilio Vaticano II molte cose sono cambiate. Anche se è pur vero che per tutti Giovanni Paolo II
si batté il petto nel grande giubileo del 2000 (ebrei, scismatici, eretici e perfino streghe) ma non per
i preti che hanno abbandonato l’abito per sposarsi, tanto meno per le rispettive consorti. Sono
centomila i sacerdoti che negli ultimi cinquant'anni (oggi sono circa settantamila quelli in vita, seimila
soltanto in Italia) hanno lasciato il sacerdozio, la maggior parte di essi per amore di una donna.
Fra le ventisei donne che hanno scritto a Francesco chiedendogli di togliere l’obbligo del celibato
sacerdotale non c’è Anna Ferretti, moglie da più di trent'anni di un sacerdote della diocesi di
Napoli. Ma anche lei ritiene sia questo il tempo per ricordare che «il celibato non è un dogma ma
una legge. E che un prete che decide di sposarsi può portare nuovo amore anche dentro la stessa
Chiesa». Dice: «Ho conosciuto mio marito in parrocchia. A un certo punto abbiamo capito insieme
che dovevamo andare al di là di una amicizia. Da quel momento mio marito non ha più celebrato
per scelta. Siamo rimasti nella Chiesa, ancora adesso mio marito tiene un corso per fidanzati. Un
sacerdote a sua volta sposato, ci ha sposati. Il nostro matrimonio non è scritto nei libri della Chiesa.
È scritto però in cielo, le carte sono relative».
Gianni Gennari, teologo, oggi non esercita più il ministero ma ancora, dice, «mi sento prete, sono
prete». Racconta: «Nell’84 mi ero appena sposato con una dispensa pro gratia di Giovanni Paolo II
che mi fu ottenuta direttamente dal cardinale Ratzinger. Ricordo che facendo un’intervista al
cardinale Martini per il Tg3 , lui mettendomi una mano sulla spalla mi disse sorridendo: “Caro don
Gianni, forse sei arrivato troppo presto”. In quegli stessi anni, fra l’altro, io e mia moglie siamo stati
amici di Jerónimo Podestá, vescovo argentino sposato con Clelia Luro. Quando venivano a Roma
spesso erano a pranzo a casa nostra». Podestà lasciò per Clelia l’episcopato. Ma Jorge Mario
Bergoglio non lasciò mai loro: fino alla morte di entrambi mantenne un contatto.
Gennari, circa l’obbligo del celibato, ha le idee chiare: «Il celibato obbligatorio non è un dogma,
non c’è di mezzo alcuna verità di fede, è una legge della Chiesa che pure per secoli ha avuto anche
preti sposati e Papi sposati e Papi figli di Papi. Tra l’altro le Chiese cattoliche di rito orientale hanno
ancora oggi preti felicemente sposati. La legge fu fissata a metà del secolo decimo sesto dal
Concilio di Trento convocato da Papa Paolo III, Alessandro Farnese, padre di quattro figli ». Ma,
dice ancora, «io non contesto la validità della legge del celibato: da quando c’è e finché c’è va
osservata da tutti i preti di rito latino che ne fanno promessa. Chi pensa di non osservarla è tenuto a
cessare l’esercizio del ministero presbiterale. Tuttavia è bene ricordare che, come ripete spesso
Francesco oggi, i pericoli per la santità presbiterale non vengono solo dal “pansessualismo
violento”, ma anche da superbia, carrierismo, denaro, potere sulle coscienze altrui e pretesa di
comandare anche dove dovremmo ascoltare e servire… Il “peccato delle origini” non ha reso
“fragile” l’uomo, celibe o sposato, solo nella sessualità. È un problema aperto e rispettando tutti serve pazienza e testimonianza »....
Un altro lieve segnale viene della diocesi di Roma. L’altro ieri un circuito di comunità d’ispirazione
conciliare, che spinge sui temi della riforma, di cui fa parte anche Noi Siamo Chiesa ha organizzato
un incontro dal titolo “Chiesa di tutti, chiesa dei poveri”. E i lavori sono stati significativamente
aperti con un saluto del vescovo ausiliare Guerino di Tora. Un gesto a suo modo non trascurabile
per un rappresentante dell’istituzione. Racconta Vittorio Bellavite, portavoce di Noi Siamo Chiesa:
«Noi vogliamo stare con fiducia sulla linea di Francesco e dal basso favorire i cambiamenti
necessari alla Chiesa».
La comunità ecclesiale opera dal basso. Fra questa, le comunità cristiane di base. Il loro riconoscersi
nel Vangelo e nella pratica di una Chiesa “altra” rispetto a quella istituzionale — secondo loro più
evangelica e più credibile — non è stato sempre apprezzato. Ma, dice Elena Inguaggiato, sposata
con Rosario Mocciaro, prete della comunità di base di San Paolo e ridotto allo stato laicale senza
che egli avesse chiesto dispensa, «Francesco è un nuovo inizio per tutti perché sa parlare al cuore
della gente. Si pone in modo diverso, con uno stile nuovo, e sono sicura che saprà come agire».
Come ha vissuto il suo amore? «Inizialmente avevo un po’ di senso di colpa. Poi, invece, tutto è
stato fatto alla luce del sole, grazie anche all'aiuto della comunità. Siamo felici. Oggi abbiamo
anche due figli». Il senso di colpa, la paura di svelarsi. Giancarla Codrignani  pubblicò una testimonianza che ben mette in luce quel tormento interiore di chi si sente nel peccato per amare un prete. «Sto male…malissimo! Sono stata sbattuta fuori dal confessionale da un mio coetaneo, fresco di seminario, impietrito dal fatto che non voglio né vorrò mai chiedere perdono per aver amato e per amare, perché chiedere perdono sarebbe commettere un peccato ancor più grande, quello di non aver visto la grazia di saper amare fino in fondo e darsi totalmente a chi si è amato e si continua ad amare».
In Vaticano è Gianfranco Girotti, reggente emerito della Penitenzeria apostolica, a dire che
«nonostante le tante aperture mostrate su temi scottanti, Bergoglio manterrà la situazione immutata
sul celibato». Eppure soluzioni ci sarebbero. Una su tutte la fa sua don Giovanni Nicolini, storico
amico di don Giuseppe Dossetti, che spiega come un uomo sposato con famiglia e figli grandi,
insieme alla partecipazione diretta della moglie, potrebbe essere ordinato sacerdote. Dice: «Sono
consapevole che la tradizione della Chiesa latina non è questa, ma si tratta di un’ipotesi che
andrebbe tenuta aperta. Ho visto delle comunità dell’Oriente con preti insieme alle loro spose che
servono Dio in maniera splendida. Ed erano bellissimi ».

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