venerdì 7 febbraio 2014

Pamphlet contro Papa Francesco

berAbbiamo previsto in parecchi che la navigazione di Francesco non sarebbe stata facile. In casa si insinua continuamente della disponibilità colposa alla strumentalizzazione; i più zelanti arrivano a suggerire la possibile invadenza dello spirito maligno nel giardino della Chiesa, fino alla banalizzazione del peccato. Tra le ideologie del laicismo più impenitente, si ricordano i trascorsi di Bergoglio in tema di teologia della liberazione, oppure che il nome Francesco non richiama affatto il santo di Assisi, ma i precedenti reazionari (?) di Francesco Saverio, ed, alle corte, che il potere e le ricchezze della Chiesa, al netto delle scelte di atteggiamento personale parco e dimesso del papa, tali sono e tali restano;  e tutto il resto che ne potrebbe seguire, ma che decido di risparmiarvi........
Ora però leggo di due pretesi siluri che dovrebbero, come si usa dire, “tagliare testa al toro”  e chiudere la questione relegando Francesco tra gli impenitenti della reazione..........
Intanto (primo siluro) si afferma, senza ombra di dubbio che il “Popolo di Dio” di cui parla il papa costituisce un assurdo logico ed un imbroglio clericale dal momento che, quando si mette di mezzo la “sovranità” di Dio, si esclude la “sovranità” del popolo e si propone un presupposto antidemocratico............
Intanto non è Bergoglio che ha proposto la questione, ma sono i movimenti che hanno preparato il Concilio ecumenico vaticano II ed i lavori del Concilio che hanno posto il principio al cuore di una moderna ecclesiologia. Di conseguenza qui non si entra per nulla nel campo delle istituzioni politiche che il papa rispetta senza invaderne il campo.... 
Inoltre “il popolo di Dio” ha titolato un capitolo essenziale del documento conciliare sulla Chiesa (Lumen gentium) e che si pone come anteriore alla sua stessa “costituzione gerarchica” che ne diventa strumento e non essenza prioritaria. Insomma non siamo nel campo delle definizioni istituzionali e politiche, ma nel campo specifico dell’ecclesiologia che da gerarchica si fa comunitaria. E dunque, per quanto certe osservazioni risultino intriganti, sono nello stesso tempo, fuori tema.
Vengo al secondo siluro. Nelle sue interviste, Bergoglio propone come metodo e metro di giudizio il discernimento e, di conseguenza, (ecco la conclusione) gioca al ribasso; accetta la situazione senza forzature ed ovviamente si guarda bene dal riformare ciò che è consolidato. Ora se c’è un presupposto contestato dai movimenti della restaurazione ecclesiastica è proprio quello del discernimento, perché si tratta di privilegiare una specifica attenzione a quanto di buono produce la storia dell’uomo, anche nei suoi aspetti profani; si tratta di ammettere che il cammino dell’umanità è fatto di cadute, ma anche di conquiste naturalmente positive; si tratta di non pretendere che solo il sacro e, nello specifico,  solo un regime cristiano costituisca la proposta per un cammino positivo, anzi si giunge alla conclusione che il regime di cristianità è superato.
Evidentemente almeno su una cosa avevamo ragione da subito: gli estremi si toccano. I restauratori della cristianità di conquista ed i laicisti anticlericali si danno la mano e, forse senza dolosa intenzione, fanno cordata. I primi (gli zelanti) pensano che riconoscere, nel discernimento, i segni dei tempi (ricordate papa Giovanni e la “Pacem in terris”?) costituisca rinuncia al regime di cristianità; gli altri, ideologi dell’anticlericalismo, presumono che l’attenzione ai segni dei tempi ed il discernimento del loro impatto sul cammino dell’umanità, costituisca una rinuncia alle riforme, un’omologazione alle banalità del quotidiano. Figurarsi poi se la proposta viene da un papa!
 Agostino Pietrasanta

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