mercoledì 13 marzo 2013

A PROPOSITO DELLA LETTERA A PAPA BENEDETTO...

RICEVO E PUBBLICO,CON MOLTO PIACERE,DA GIOVANNI SABURRI,DIRETTORE DEL PERIODICO "IL DIALOGO".
------------------------------------------------------------------------------------

...è sicuramente una lettera d'amore. E' scritta da una donna. Ci sono toni lirici, immagini struggenti, sentimenti profondi. Sembra di leggere un testo del periodo romantico del 1800. Non c'è dubbio, dal cuore di questa donna che scrive esce amore, amore puro, lontano mille miglia da un volgare amore carnale, come quelli a cui le TV ci hanno oggi abituati, del tipo una botta e via. Un tipo di amore difficile da capire e spiegare al giorno d'oggi ma che però esiste e questa lettera ne è testimonianza. E questo anche per la particolarità dell'oggetto dell'amore di questa donna che non è rivolto ad un uomo qualsiasi, uno dei tanti destinati ad innamorarsi e poi magari a sposarsi e a fare figli e figlie, no! Uno per il quale, come scrisse Dante, si possa dire:
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Uno cioè che potrebbe in qualche modo ricambiare l'amore ricevuto, perché l'amore, quando è vero e sincero, è cieco, muto, sordo a qualsiasi richiamo e a qualsiasi incombente pericolo e che, quindi, non può che essere ricambiato, e a volte portare alla perdizione.
L'oggetto dell'amore di questa donna è una persona che è stata educata in anni e anni di studio, in ambienti esclusivamente maschili, a non dover mai provare alcun tipo di sentimento, seppur svincolato da qualsiasi sensualità, per una qualsiasi donna di questa terra. Donne tutte subliminate in Maria madre di Gesù e madre di Dio. Anzi l'educazione ricevuta è stata basata spesso su una ferrea misoginia. E man mano che egli saliva nella scala gerarchica della chiesa di cui fa parte, è stato via via abituato a sublimare qualsiasi pensiero che potesse in qualche modo apparire come un sentimento. Potrà sembrare strano ma l'oggetto dell'amore di questa donna è l'oramai ex Papa Benedetto XVI.
Questa lettera ci è stata inviata da un ex prete, ora sposato, che l'ha inserita sul suo blog e che dobbiamo ringraziare perché abbiamo scoperto che egli ha fra i propri link amici quello del nostro sito. E su quel blog abbiamo potuto leggere alcuni commenti di lettori che, parlando di Benedetto XVI, dichiaravano il loro amore a prima vista per lui, fin dall'Habemus Papam e forse prima ancora che si conoscesse il suo nome profano, cardinale Joseph Ratzinger. E perciò esprimevano ampi consensi al contenuto di questa lettera, che richiamava in loro quei primi sentimenti scaturiti subito dopo quell'annuncio, urbi et orbi, gridato dal loggione centrale della Basilica di San Pietro a Roma.
Potenza dei simboli e dei ruoli, che spesso fanno apparire le persone molto diversamente da quello che sono, o forse le trasformano. Il prete non è più un uomo, il vescovo ancora di più, il Papa è al massimo dell'annullamento dei suoi sentimenti umani, perché tutti dedicati esclusivamente al servizio di Dio, a fare da ponte tra Dio e gli uomini, con le loro angosce e frustrazioni e desiderio di salvezza. Del resto il mistero più misterioso e impenetrabile della teologia cattolica non è forse quello della transustanziazione? Direbbe Antoine-Laurent de Lavoisier (1743 – 1794), chimico francese, “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.
Probabilmente non basterebbe un intero battaglione di psichiatri per mettere in luce gli aspetti profondi dell'animo umano che sono coinvolti nella interpretazione dei simboli religiosi o dei ruoli ricoperti da persone in carne ed ossa come tutti, ma marchiati, Ab aeterno, dal fuoco dello Spirito Santo, attraverso l'imposizione delle mani, da un altro uomo che ha sua volta ha ricevuto la stessa imposizione da un altro uomo. Non basterebbe un battaglione di psichiatri per comprendere come e perché simboli e ruoli abbiano la capacità di suscitare sentimenti come quelli che questa lettera esprime. Qualcuno potrebbe parlare di “sindrome di Stoccolma”, con le vittime che finiscono per amare il proprio carnefice. E così si può finire per amare anche la Curia romana, quell'enorme buco nero che sembra l'anticamera dell'inferno piuttosto che la porta del paradiso, e rimanere impotenti e smarriti di fronte ad essa. Oppure sarà il bisogno di avere un oggetto sacro da adorare, un oggetto in carne ed ossa, che sia visibile e di cui magari poter baciare la mano o l'anello, e che magari sia luccicante e splendente o vestito con colori smaglianti, quasi come se gli uomini e le donne di oggi fossero simili, nella loro ingenuità, ai primi indigeni trovati da Colombo nelle Americhe, attirati dagli specchietti che gli furono regalati e che pagarono amaramente la loro curiosità e profonda ingenuità. Ed in effetti i vestiti, che sono abituati ad usare i Papi, hanno tutte queste caratteristiche, pieni di oro e di pietre preziose luccicanti, con il colore rosso predominante, dalle scarpette alla mantellina o ai copricapi, tutti fatti amorevolmente a mano e con i migliori materiali, quelli che Benedetto XVI ha usato in abbondanza, attingendo ai molto forniti armadi Vaticani, a differenza degli ultimi suoi predecessori. Questi simboli emanano qualcosa di profondo che può trasformarsi in amore e amore a prima vista e amore che dura.
Abbiamo così deciso, come redazione, di pubblicare questa lettera anche per dimostrare che il nostro sito non è fatto solo di mangiapreti o mangia papi che dir si voglia, ma anche di persone che sanno commuoversi di fronte ad un amore vero e viscerale come quello che qui viene rappresentato. Anche perché a noi interessa poter rappresentare la realtà per quello che è, per quanto strana e anacronistica essa possa sembrarci.
(Giovanni Sarubbi)

Nessun commento:

Posta un commento

Lettori fissi

Archivio blog