lunedì 16 gennaio 2012

FEDE E SOCIAL NETWORK

L'evangelizzazione dal buco della serratura
di Francesca Lozito | 13 gennaio 2012
Sui rischi di trasformare anche da un punto di vista pastorale i social network in un secondo mondo parallelo rispetto a quello reale


Lo so, lo so che quello che sto per scrivere non vi piacerà. Chi è senza peccato scagli la prima pietra ed io sono una peccatrice 2.0. Ovvero sono una peccatrice del social network. Antesignana del faccialibro, già. Ma non per questo incapace di tentare di elaborarne un pensiero critico.
Annovero la prima iscrizione nell'ormai lontano 2008. Un rapporto di odio e amore. Di amore partecipato, condiviso e coinvolto: ho deciso di non risparmiarmi, perché penso che quando in un mezzo del genere decidi di esserci, ci devi essere e basta; non devi solo guardare. Ma anche di odio nel momento in cui ti rendi conto che c'è qualcuno che spesso lo confonde con la vita reale.
In queste settimane stanno esplondendo altri tipi di social network. Primo fra tutti twitter. Meno invasivo e più pervasivo di Facebook, c'è chi arriva a teorizzarne addirittura delle ragioni spirituali. Ma un mezzo è un mezzo e lo ha ricordato qualche giorno fa proprio uno dei pochi cardinali che nel mondo "cinguettano", Angelo Scola: "Ho scelto di stare su twitter - ha detto - a condizione di usarlo come un prolungamento della mia azione pastorale".È evidente che Scola Twitter lo ha ben studiato. È poi di grande aiuto in questo ambito una riflessione come quella di padre Spadaro, intelligente, che ci allarga il respiro rispetto a come si muove lo scenario globale.

Ma mi chiedo: quanti nella Chiesa stanno facendo lo stesso? Soprattutto con Facebook?
Qualche giorno fa questo post sul blog del collega Carello ha suscitato reazioni sconcertate. Eppure io mi trovo abbastanza d'accordo. Facebook, è vero, è diventato il regno del cicaleccio.
«Lo uso solo per gli avvisi per gli incontri degli adolescenti - mi ha confessato qualche giorno fa un sacerdote di pastorale giovanile -. Per quanto mi riguarda non va usato se non per questo e francamente noi sacerdoti dobbiamo stare molto attenti per come ci esponiamo. Perché, attenzione, potrebbe rischiare di diventare un mondo parallelo». E buonanotte all'incontro, quello vero, con le persone reali.
Di certo il sacerdote amico non è un bacchettone, posso assicurarlo: è una persona in gamba, che si impegna nella pastorale giovanile anche in una situazione non di certo rosea e facile. Che ha equilibrio e giusti momenti di "decompressione" rispetto al tran tran quotidiano.
Ma sono tutti così? Non c'è forse da parte di qualcuno - sacerdoti e religiose, laici, mettiamoci dentro tutti - il rischio di confondere il virtuale con il reale? Che nascite, morti e scelte forti spesso le apprendiamo prima sul Faccialibro e poi dalla viva voce delle persone? Che si affacciano, rischiosi, tentativi di evangelizzazione dal buco della serratura. Scruto un profilo, conosco una storia. Gli offro il mio aiuto, sono convinto di poterlo salvare.
Non è solo questione di nativi digitali. Ma se quella storia raccontata nel profilo non è proprio vera? Se è forzata?
Attenzione, qui rischiano di entrare nel gioco delle solitudini bilaterali. Che non ci permettiamo di giudicare, ma che sono evidenti rispetto all'occhio che cade, mentre si naviga. E fanno pensare. In questi casi, che si fa?
L'umanità di Gesù, di quel Gesù di cui abbiamo celebrato la nascita in questi giorni, è qualcosa di ben diverso dalla virtualità. E noi a quell'umanità dobbiamo guardare. Noi siamo quell'umanità.  Anche adesso che siamo diventati 2.0
Sono convinta che se avesse avuto a disposizione il suo profilo Facebook Gesù lo avrebbe usato, sì, per lanciare il "messaggio". Ma avrebbe concesso non più di dodici amicizie. Perché il resto delle persone lo avrebbe incontrato di persona.

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