venerdì 30 dicembre 2011

INDIGNATI CATTOLICI

SARA' UNA PAROLA DI MODA E A VOLTE USATA UN PO' FUORILUOGO,MA DI FRONTE AGLI EVENTI,ALLE NOTIZIE,ALLE VERITA' CHE ARRIVANO DAL MONDO CATTOLICO E ,IN PARTICOLARE,DAI VERTICI DELLA CHIESA,E' ABBASTANZA IMPOSSIBILE NON "INDIGNARSI",CIOE' PROVARE QUELLA INDIGNAZIONE,QUELLA RABBIA CHE TI FA DIRE:<<CANCELLATE IL MIO NOME DAL REGISTRO DEI BATTEZZATI E RISCRIVETELO NEL DIARIO DI COLORO CHE HANNO ACCOLTO LA BUONA NOVELLA NELLA SUA PRIMITIVA ORIGINALITA'!!>>.
LEGGO SEMPRE CON MOLTO INTERESSE GLI ARTICOLI CHE VENGONO PUBBLICATI SUL SITO "VINO NUOVO".
LA SETTIMANA SCORSA E' APPARSA UNA RIFLESSIONE DI ROBERTO BERETTA PROPRIO SU QUESTO TEMA DELL'INDIGNAZIONE DEI CATTOLICI.
HO PENSATO DI RIPORTARLO,MA MI PERMETTO ANCHE DI AGGIUNGERE, CHE E' ORA DI TIRAR FUORI LA VERA ESSENZA DEL CRISTIANESIMO,SECONDO L'UNICO INSEGNAMENTO DEL MAESTRO:<<[...]E' GIUNTO IL MOMENTO,ED E' QUESTO,IN CUI I VERI ADORATORI ADORERANNO IL PADRE IN SPIRITO E VERITA';PERCHE' IL PADRE CERCA TALI ADORATORI.DIO E' SPIRITO,E QUELLO CHE LO ADORANO DEVONO ADORARLO IN SPIRITO E VERITA'[...]>>(GV4,23-24).

15/12/2011
Gli indignati cattolici
Roberto Beretta
Tra sempre più italiani serpeggia una convinzione infamante che finora era stata riservata ai soli politici: «Sono tutti uguali»; adesso viene applicata pure alla Chiesa
Quanti sono non lo sapremo mai, perché loro non usano scendere in piazza. Non organizzano manifestazioni e men che meno fanno scioperi. Non sono stati abituati a reagire in modi clamorosi, anzi si ostinano a credere che il loro silenzio faccia parte del sacrificio che può salvare il mondo. Tacciono non per paura, ma perché amano troppo l'oggetto del loro sconforto: come succede alle madri con un figlio discolo. Tacciono anche perché non sanno bene che cosa fare.
Ma quanti saranno oggi, in Italia, gli «indignati» cattolici? Quelli che l'altra sera, vedendo la Gabanelli in tv mentre snocciolava la litania dei misfatti del San Raffaele & company (prostituzione minorile compresa), si sono coperti gli occhi per lo sconforto? Quelli che non approvano gli attacchi sull'Ici alla Chiesa, ma sanno che tanti enti ecclesiastici ormai giocano alle scatole cinesi tra fondazioni e società di comodo solo per pagare meno tasse possibili? Quelli che osservano sedicenti cattolici, membri di movimenti che dovrebbero essere esemplari, scalare senza alcuna remora morale le piramidi del potere e del lusso, aiutando gli «amici» e schiacciando sotto i piedi i diritti degli altri? Quelli che constatano come chi tra i cattolici avrebbe i mezzi per parlare e magari denunciare ciò che c'è di inaccettabile in questi modi di fare, invece organizza campagne solo quando vengono toccati i vantaggi acquisiti dalla Chiesa? Quelli che da anni subiscono l'ondata di ritorno degli scandali finanziari che regolarmente travolgono faccendieri cattolici (se non addirittura ecclesiastici), eppure devono prendere atto che non cambia quasi niente nel modo disinvolto con cui troppo potere clericale fa uso dei soldi?
Pedoflia, denaro, politica... Ho motivo di credere che i «cattolici indignati» siano davvero tanti, anche se non scendono in piazza, anche se non gridano, anche se non si contano mai. E sono indignati non tanto perché non sappiano che nel mondo - e anche nella Chiesa - il peccato esiste, e sempre esisterà: non hanno nulla, in sé, contro i peccatori, sono anzi ben disposti persino a perdonarli. No; essi sono tristemente indignati perché vedono che la Chiesa stessa appare rassegnata a quest'andazzo e non dimostra alcuna ribellione, alcuna voglia di riscatto: né più né meno della società civile di fronte agli scandali (morali e no) che la percorrono. Dov'è allora la «differenza» cristiana? Dov'è il di più di coerenza e di speranza che i cattolici dovrebbero immettere nel corpo sociale tutto? Non c'è, non si vede. Dall'alto non provengono segnali in controtendenza, se non rarissimi; le parole sono troppo spesso scontate, i pochi buoni esempi non riescono a bucare nessuno schermo. E persino il silenzio doloroso di tantissimi «indignati» rischia di essere confuso con la passività o l'indifferenza dei più.
Ma se la Chiesa non avrà il coraggio e l'intelligenza di ascoltare questa tacita indignazione che monta dal basso, e che pure ormai preme alle porte, penso che mancherà un'occasione storica e assai concreta di evangelizzazione nel nostro Paese. Non aspetti che si firmino petizioni o s'organizzino cortei sotto le finestre degli arcivescovadi: lei stessa non ha educato i suoi membri ad agire in questo modo. Deve però ugualmente sapere che il malessere esiste e genera una delusione che può essere mortale, perché ci sono ferite che non si rimarginano: come quando un figlio sta male e corre dai genitori, ma trova la porta chiusa.
Tra sempre più italiani serpeggia una convinzione infamante che finora era stata riservata ai soli politici: «Sono tutti uguali»; ebbene, adesso viene applicata pure alla Chiesa e a tanti suoi uomini pubblici. Il problema è che anche noi credenti - tra attacchi anticlericali da una parte e difese corporativamente acritiche dall'altra - non possediamo gli strumenti per giudicare caso per caso. E, di fronte al dilagare sempre maggiore e documentato degli scandali, siamo tentati di perdere la fiducia: se ci hanno nascosto questo, e quest'altro, e quell'altro ancora, allora significa che sono tutti marci... Una volta si giungeva al «Dio sì, Chiesa no» per ideologia; oggi si potrebbe arrivarci per indignazione, e magari andare anche oltre. Il partito degli «indignati cattolici» affolla invisibilmente i sagrati di tutt'Italia: qualcuno ascolterà la sua voce muta?

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