venerdì 21 giugno 2019

A COSA SERVONO CHIUSURE E FILI SPINATI?

C' è chi chiacchiera e chi passa alla realtà dei numeri. Come quelli resi pubblici dall’Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) nel rapporto Global Trends 2018. Le persone in fuga sono 70,8 milioni (stima per difetto): il doppio di 20 anni fa e 2,3 milioni in più rispetto ai dodici mesi precedenti. «La situazione non vede alcuna inversione di tendenza – spiega Carlotta Sami, portavoce Unhcr per il Sud Europa – È la dimostrazione che le politiche globali basate su esclusione e odio, tradotti in muri e fili spinati, non funzionano».
PUNTO UNO: la maggioranza delle persone in fuga rimangono all’interno del loro paese, senza varcare alcuna frontiera internazionale. Sono i 41,3 milioni di sfollati interni, il 58,57% del totale. Si tratta del gruppo principale che compone la cifra di 70,8 milioni. Gli altri due sono i richiedenti asilo e i rifugiati veri e propri. Durante lo scorso anno le persone in attesa dell’esito della domanda d’asilo erano 3,5 milioni, mentre quelle che hanno avuto responso positivo 25,9 milioni.
PUNTO DUE: le destinazioni principali di chi è costretto a lasciare la propria casa sono gli stati confinanti. Quattro su cinque vivono in paesi adiacenti a quello di origine. Così gli stati che occupano le prime tre posizioni della classifica per numero di rifugiati in termini assoluti (Turchia 3,7 milioni; Pakistan 1,4 milioni; Uganda 1,2 milioni) confinano con i primi tre da cui le persone scappano (Siria 6,7 milioni; Afghanistan 2,7 milioni; Sud Sudan 2,3 milioni). 
PUNTO TRE: la direttrice migratoria principale è da paesi poveri a paesi poveri, nell’83% dei casi. In media gli stati ad alto reddito accolgono 2,7 persone ogni mille abitanti, quelli a reddito medio o medio-basso più del doppio, 5,8. Lo scorso anno solo il 16% dei rifugiati sono stati accolti in paesi di regioni sviluppate. 
PUNTO QUATTRO: i minori rappresentano il 50% del totale delle persone in fuga. Nel 2018, almeno 138 mila tra loro vivevano soli o senza famiglia. 
SE RESTANO completamente assenti dall’orizzonte politico globale strategie strutturali per cambiare di segno al drammatico fenomeno della fuga delle persone, anche gli interventi per trovare soluzioni a chi è costretto ad abbandonare il luogo di origine incontrano ostacoli e difficoltà. Questi interventi sono di tre tipi: rientro volontario, integrazione nella comunità di accoglienza o reinsediamento in un paese terzo. Nel 2018 poco meno di 594 mila rifugiati sono tornati a casa, solo 92 mila e 400 sono stati reinsediati (meno del 7% di quelli in attesa), mentre 62 mila e 600 hanno acquisito una nuova cittadinanza. 
IN QUESTO QUADRO fosco le uniche tinte positive vengono da un sempre maggiore impegno della società civile e di nuovi attori. «Dobbiamo ripartire da questi esempi ed esprimere solidarietà ancora maggiore nei confronti delle diverse migliaia di persone innocenti costrette ogni giorno ad abbandonare le proprie case», ha dichiarato Filippo Grandi, Alto commissario delle nazioni unite per i rifugiati.

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