Sono io l’uomo che torna indietro?
Forse no, forse sono uno di quelli mai tornati. Vorrei essere quello che torna, e invece lungo la strada, non appena vedo risolta la situazione, magari il prossimo obiettivo cattura tutta la mia attenzione, e così torno a correre, dimenticando tutto il resto. Totalmente perso in questa rincorsa di quel che manca.
Torno nella mia bolla, in quel piccolo mondo fatto di poche cose. Un puzzle che rappresenta una frazione minuscola del reale, coi suoi confini ben definiti che isolano dal resto, dagli altri, dal mondo reale. Come avere i paraocchi e guardare soltanto davanti a sé.
E la cosa sembra ragionevole: se sei in autostrada, devi andare alla velocità degli altri. Se rallenti troppo rischi grosso. E dunque corriamo tutti insieme, sempre dritti, ma forse perdendoci l’essenza stessa del viaggio. Forse non arrivando davvero mai in alcun luogo. Ogni sosta è solo una pausa tra una corsa e l’altra, perché in fin dei conti l’obiettivo non è mai raggiunto.
Ma ogni giorno, fosse anche l’ultimo istante del giorno, arriva un momento in cui ci fermiamo. E in quel momento, in quell’istante di silenzio, è come aprire gli occhi. È come se la bolla svanisse, manifestando la sua illusorietà.
È quello il momento critico, è il momento in cui sembra volersi spalancare l’abisso davanti a noi, e invece è l’esatto contrario. Quello è l’istante in cui si fa strada la possibilità di guardarsi intorno e di guardarsi dentro, di riconoscere quanto di bello è accaduto e quanto di bello, nonostante tutto, è presente e vivo nella nostra vita. È l’istante in cui possiamo sentirci grati e ringraziare.
Questo ci salva davvero. Non perché dire grazie sia un dovere, quanto piuttosto perché è nella nostra stessa natura questa necessità della gratitudine. È una tensione sempre presente, che ci pungola quando la ignoriamo e ci dona una gioia di fondo quando ci lasciamo guidare da essa.
Ettore Di Micco